Dove sei, maledetta primavera?

Sarà anche vero che non esistono più le mezze stagioni e che le nevicate di un tempo neppure somigliano agli sbuffi di questi giorni, ma a me – questo freddo becco – ha già rotto sufficientemente le scatole. Diversamente a quanto accade per altri sport, infatti, il ciclismo ha bisogno di strade asciutte e temperature miti perché la fatica del pedale non ha alcun bisogno di un extrabonus. E non si può pretendere che noi, ciclisti della domenica, si sia votati al martirio di certi professionisti che salgono sul Gavia in tormenta con la maglietta corta e un giornale nello stomaco.
Nemmeno, del resto, si può pensare di trascorrere l’inverno a rullare in garage, che è cosa tristissima e fa annoiare forse ancor di più di una tribuna politica. Personalmente ho cercato di risolvere il problema, rinunciando alle belle salite estive (solo per il freddo della discesa che paralizza mani e piedi, si capisce) senza però cedere alla tentazione di una pianura tanto padana da non offrire neppure un cavalcavia. L’altra settimana mi sono diretto senza indugi verso Bergamo, che è città ideale per i ciclisti e ancora non mi capacito perché non si facciano in tre per mandare comunque in scena la “Gimondi” di gran fondo. Dicono che le strade siano sconnesse e vado in fiducia. Ma di certo non hanno mai visto quelle di Lecco e di Monza, perché capirebbero il significato di avere fame a pancia piena.
Era domenica mattina, d’accordo, e i non-sportivi dormicchiavano della grossa aspettando l’ora dell’aperitivo ma è stata una pedalata di quelle da leccarsi i baffi. Il vialone davanti alla stazione, un salto nei dintorni dello stadio e del palasport e poi via verso Città Alta, che tanto alta non è perché non bisogna neppure cambiare il rapportone. Resta l’illusione di pedalare in salita, e va bene così. Il panorama è suggestivo: pedalando lungo le mura, l’occhio può correre – foschia permettendo – per un sacco di chilometri. Ed è uno spettacolo a parte, ammirare i tanti volenterosi che scarpinano di buzzo buono, compresi quelli che trascinano - o si fanno trascinare - dal cagnolino con lo sguardo triste di chi preferirebbe un bel guard-rail dell'autostrada.
E poi, all’altezza di una delle mille porte, un tratto in pavè e via verso San Vigilio, la città più alta di quella alta. Il panorama umano è ancora più rarefatto, le strade più strette e si corre persino il lusso di incrociare i cerchioni con cavalli e cavalieri che pare di essere entrati nel parco faunistico delle Cornelle. Già, perché poi si arriva proprio lì. Una discesa (fredda) fino a Paladina e quindi Valbrembo, Ponte San Pietro e avanti fin dove ti porta la gamba. Una bella biciclettata, insomma, che va al di là della routine e della noia di queste domeniche. Meglio di niente? Certo, meglio di niente. Aspettando che questa maledetta primavera arrivi in fretta. [email protected]

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