Il conto è servito

La domanda è vecchia quanto il mondo ma vale la pena di tornarci sopra, soprattutto in questi periodi in cui lo stipendio rischia di diventare una variabile indipendente. Ovvero: gli sportivi guadagnano troppo? Certo, se volessimo fermarci ai luoghi comuni, ovvero al mondo del calcio, la risposta sarebbe scontata: sì che guadagnano troppo, hanno la busta paga più pesante di quella di un parlamentare. Entrambi danno spettacolo, certo, ma forse è meglio sorvolare sull’utilità sociale delle due categorie, consapevoli che il paragone suonerebbe offensivo. Per gli sportivi, s’intende.
Invece, andando oltre il populismo di maniera, bisognerebbe anche aggiungere che accanto ai top-stipendi di una manciata di star, ci sono centinaia di calciatori che – dalla serie B in giù – hanno guadagni assai modesti, soprattutto se rapportati con la durata della carriera. Per non parlare poi della Lega Pro, dove il minimo di stipendio è una regola per i giovani e l’incertezza dell’incasso quasi la norma per tutti gli altri.
Ma, se vogliamo, questo rimane pur sempre un mondo dorato. Il ciclismo, lo sport che a noi interessa, sta addirittura messo peggio. Dati precisi non ce ne sono ma una ricerca di un paio d’anni fa de La Repubblica sosteneva che i ciclisti con stipendi milionari si contano sulle dita di una mano e che la maggior dei professionisti (quelli da Pro Tour) non vanno oltre i 2.500 euro al mese, qualcosa di più per i gregari più esperti. Se si scende di un gradino alla Continental, una sorta di serie B calcistica, gli emolumenti calano ancora. Al punto che non sono rari i casi di ciclisti anche professionisti – non di primissima fascia, ovviamente – con il doppio lavoro.
Troppo per una semplice passione sportiva? Troppo poco per quello che a tutti gli effetti è un lavoro e che dà a sua volta reddito a un’intera carovana fatta di tifosi, giornalisti, televisioni, sponsor? A voi la risposta anche se, così a prima vista, il gioco non sembrerebbe affatto valere la candela. Essere uno sportivo professionista – e in questo caso un ciclista – significa sottoporsi a rigorosi regimi alimentari, a stili di vita monacali, ad asfissianti controlli medici e, soprattutto, vuol dire allenarsi tutti i giorni che Dio manda in terra, in condizioni di tempo (e di strade) non sempre ideali per esaltare il fuoco dentro.
Mi è capitato, nello scorso Giro d’Italia, di seguire la tappa da Busto Arsizio ai Resinelli con tanto di passaggio dalla Valcava: era il 20 maggio ma la temperatura non arrivava alle due cifre. In più pioveva e c’era la nebbia. Senza contare i 12 chilometri di una salita con punte del 20 per cento. Quanti di voi – e di noi – avrebbero barattato quella giornata da lupi con 3.000 euro e senza neppure la certezza di una vittoria che, quand’anche fosse arrivata, sarebbe svanita nello spazio di un titolo a 6 colonne?
Sia chiaro, nessuna recriminazione. La vita è quella che ognuno si sceglie. Però ci vorrebbe uno sforzo, da parte di chi è incline alle facili conclusioni, nel ricondurre il tutto nel giusto alveo. Duemila euro possono essere tantissimi o pochissimi, dipende dai punti di vista e, soprattutto, dipende dal movimento (e dal soldo) che quella fatica genera.
Altrimenti bisognerebbe scandalizzarsi non già per i 5 milioni di euro del Totti di turno – che passerebbe per un poveraccio - quanto per i 100 milioni di un cestista della Nba o per i 50 di un golfista di primissima fascia o per un pilota di Formula 1. E, per inerzia, si potrebbe finire a parlare delle star del giornalismo e della televisione. Tutti accomunati da un talento da mettere sul piatto della bilancia e che, la stragrande maggioranza di noi altri, non ha e che, in una logica capitalista, deve trovare il giusto riconoscimento, anche economico.
Ci fermiamo qui per non infilarci nel tunnel dell’economia, del libero mercato, della concorrenza e di chissà cos’altro. Con una sola certezza: domenica – anzi, sabato, perché bisogna santificare la Pasqua – tutti noi andremo a pedalare gratis sulle strade della Brianza. E, statene certi, ci divertiremo lo stesso. Perchè, alla fine, si ritorna bambini. L'unica differenza è che la bicicletta non ha le rotelle.
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