Mi faccia il Ghisallo

La prima stagionale al Ghisallo è (quasi) come il primo amore. Non si scorda mai. Beh, mai è forse un po’ troppo impegnativo. Diciamo pure che resta scolpita nei muscoli e nella memoria per un annetto. Ebbene, sabato scorso mi è capitato di affrontare la mitica ascesa del Lombardia – il cielo è in cima a una salita, diceva il poetico slogan – con un mesetto abbondante di anticipo sulla tabella di marcia del ciclista della domenica.
Oddio, a essere sinceri fino in fondo ero partito per un più abbordabile Colle Brianza ma, complice l’occasionale compagnia di quattro ragazzi del Bike Team Almè, mi sono fatto ingolosire. Cinquantina minuti dalla Brianza a Oliveto e, nel complesso, un’ora e quindici per arrivare a Bellagio. Poi, come è ovvio, tre di loro sono volati via (tra cui una ragazza con la mia stessa Bianchi ma colorata di rosa) e sono rimasto a fare compagnia – l’unica alternativa era quella di invertire la marcia, non certo di lasciarlo sul posto – al quarto del gruppo. Il quale, detto tra noi, andava su che era un piacere anche se, confessava all’occasionale compagno, temeva di essere la zavorra del gruppo. Tutta colpa della tavola cui non sapeva resistere, ribadiva ogni volta che il tornante superava la soglia del dieci per cento.
Meglio così, mi sono detto mentre gli occhi vagavano su un panorama di rara bellezza. Forse l’ho già scritto ma ripeterlo giova al cuore: l’azzurro del cielo, il blu del lago e il bianco della Grigna dipingevano un quadro di Tino Stefanoni. Pittore sopraffino che gli indifferenti all’arte conosceranno solo di fama ma che gli altri, quelli che ne apprezzano i colori sgargianti e la disarmante semplicità, sanno benissimo cosa intendo. Bisognerebbe anche aggiungere che il prezzo di un simile panorama è il freddo da patire. Quattro gradi al sole in cima al Ghisallo, quando l’orologio era ormai sulla mezza. Con tanto di fontanella – quella davanti al santuario – completamente a secco. Rubinetti chiusi, diceva l’uno. O forse tubature ghiacciate, ho provato ad immaginare certo di non andare troppo lontano dal vero.
E poi la discesa verso Barni ed Asso. A settanta chilometri l’ora si sta appena bene in estate, figuratevi di questi tempi. In ogni caso ne valeva sicuramente la pena. Per i muscoli – doloranti come dovrebbero esserlo sempre a margine di un allenamento serio – e per l’anima, compiaciuta ed appagata quanto basta per la meraviglia che il creato può essere quando splende il sole.
A dirla tutta, dovrei quasi ringraziare quei ragazzi bergamaschi dal polpaccio guizzante perché la mia Nove Colli, la madre di tutte le gran fondo, è praticamente alle porte. Anche il medico (quello sportivo, non l’amico di turno) mi ha certificato il suo via libera. Ora che ci penso manca soltanto la prenotazione nell’hotel – che è poi una specie di casa del ciclista in villeggiatura – del mio amico Stefano Giuliodori. E poi sarà quel che sarà.
Nel frattempo medito un bel giro (corto) del lago, passando da Lecco, Bellagio e Como. Qualcosa in più di un centello, qualcosa meno della Valcava e del Cornizzolo che pure dovranno necessariamente essere l’antipasto della corsa di Cesenatico. Ma se qualcuno di voi, ha qualche percorso da suggerire, beh, sa dove scrivere.
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