Pedalando sotto la neve. Ma anche no

Pedalando sotto la neve. Ma anche no

Non è questione di simpatia. Più semplicemente, la neve ci impedisce di pedalare. Anche perché – per definizione – scende soltanto quando le temperature sono assai prossime allo zero termico. Per i ciclisti – o, almeno, per quelli meteopatici come chi scrive – un inverno senza neve (e freddo) sarebbe un po’ come un’estate senza zanzare, una politica senza corrotti, un ciclismo senza dopati. Insomma, un sogno impossibile.

Giovedì 6 dicembre ho fatto appena in tempo – complice i consigli della Claudia di MonzaBrianzaTv -a farmi un paio d’orette abbondanti, approfittando del sole che, intorno alle 11 del mattino, mi ha consentito di vincere quella tremenda vocina che mi pregava di starmene a casa, protetto da San Termosifone, patrono dei frettolosi. D’accordo, ero coperto come un omino Michelin un po’ ingrassato e la borraccia thermos è diventata un pezzo di ghiaccio dopo cinque chilometri ma sono comunque riuscito a divertirmi. Poi, dal pomeriggio del 7 dicembre, ecco la neve, il freddo polare e – questa mattina – pure uno strato di ghiaccio che ha sicuramente dissuaso persino gli amanti della mountain bike., che pure possono contare su copertoni larghi così.

Del resto, bisogna accontentarsi. Fino a una manciata d’anni fa, il ciclismo – compreso quello degli amatori della domenica – terminava appena dopo il Giro di Lombardia, considerato un ideale spartiacque tra la fatica più spietata e il dolce far niente. E fino alla metà di gennaio non se ne parlava più, con la pancia che cresceva e  la scorta dei cotechini che diminuiva. La ripresa, poi, era lentissima e immancabilmente preceduta dal pranzo sociale. Un vero rito pagano. C’era una società, la gloriosa Alba di Robbiate, che faceva un po’ da apripista: quando le maglie rossoblù guidate dal mitico Ambrogio Cereda venivano tolte dall’armadio significava che era tempo di ripartire. Schierava una squadra femminile da paura, l’Ambrogio, con la Roberta Bonanomi, la Bruna Seghezzi e altre bergamasche tostissime. Poi lui se ne andò – con troppa fretta – e la magìa finì.

Altri tempi, direte. Giusto. I tempi, per tornare a noi, si sono rapidamente allungati: vuoi per il materiale tecnico, attualmente garantito fino a una temperatura di meno cinque e vuoi perché la voglia è sempre tanta. L’idea di passare i mesi invernali in garage, a pedalare per ore sui rulli senza andare da nessuna parte, non è proprio il massimo della vita. Suona un po’ come lo smacchiatore di leopardi del duo Crozza-Bersani.

Tra tre settimane sarà Natale e la febbre dell’acquisto compulsivo (solitamente della signora) rende meno faticosa l’attesa della ripresa. Ma da gennaio sarà durissima, anche perché quelle prime settimane sono le più tremende. E, oltretutto, le più importanti. Stare fermi 20 giorni, significa dover ricominciare tutto daccapo. Altro che salire il Colle Brianza con il rapportone da pianura a venti all’ora, come ci beavamo di fare fino a qualche settimana fa.

Meglio non pensarci e, accanto alla ginnastica che tutti predicano e nessuno pratica, ho solo un consiglio da girarvi. La mattina di Capodanno, quando tutti stanno ancora smaltendo la sbronza da festa comandata (e chissà poi perché), prendete la bicicletta e andate a fare un giro in pianura. Una quarantina di chilometri giù per Monza, che non c’è un cavalcavia neppure a pagarlo e non si corre il rischio di stancarsi. Non serve a nulla, naturalmente, se non all’autostima. E a ricordarvi, un colpo di pedale dopo l’altro, quando è bello fare fatica. Tornerete a casa quasi allegri. E anche gennaio vi apparirà, all’improvviso, un po’ più corto.

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