Sono un Mamils. A mia insaputa

Sono un Mamils. A mia insaputa

Vedi un po’ come va il mondo. Ti alzi la mattina convinto di essere una persona normale – o, al massimo, galleggiante entro gli ampi confini della normalità – e a metà pomeriggio ti ritrovi ad essere un Mamils. Detta così, a me era pure sembrata una parolaccia, una di quelle che – con la scusa della pronuncia all’inglese – sembra un complimento.

Ho però scoperto che sarebbe l’innocente acrononimo in madrelingua di “uomo di mezza età che nel weekend si cimenta in imprese sportive”. Il che, a ben pensarci, fa ancora più ridere visto che calciatori di mezza età che fanno gol in rovesciata io non li ho mai incontrati. Per la verità, a dar retta al serioso foglio di giornale che per duecento righe mi ha dottamente spiegato chi ero, chi sono, chi sarò e dove sto andando, l’interpretazione deve essere presa un po’ meno alla lettera. Siamo “dilettanti sedotti dall’esperienza professionale” o, se preferite,  “cinquantenni (ma a me manca ancora un po’) affermati sul piano economico e sociale, che si cimentano in un’impresa sportiva più grande di loro”. Il riferimento, nella fattispecie, era al direttore del giornale Financial Times che, malato come noi di ciclismo, si è avventurato sulle principale vette dei Pirenei, convinto di fare una vacanza da sogno. E si è ritrovato ad essere, a sua insaputa come quei politici delle case al Colosseo, un banalissimo (e un po’ patetico) Mamils. Ma, ironia a parte, c’è qualcosa di vero nell’analisi sociologica che accompagnava la descrizione di quest’avventura (non impresa, perché vorrei proprio vedere i tempi del nostro eroe su quelle salite da leggenda). Il ciclismo è sport adattissimo a noi aspiranti cinquantenni perché è sport di fatica. E nella fatica, io – e tutti voi che avete la bontà di leggere queste note - trovo appagamento fisico e, soprattutto, psicologico. Inutile tirarla in lungo: quando si scollina dopo una salita al 15 per cento, si provano sensazioni diverse e tutte bellissime: soddisfazione, orgoglio, entusiasmo, benessere diffuso... Senza però arrivare, come diceva sul giornale il solone mai salito in bicicletta (ne sono sicuro), al fatto di trovare  “un inconfessabile surrogato orgasmico”. Sarà che sono (e siamo) di un’altra generazione...

Potrei anche avventurarmi nel ciclismo metafora della vita e addirittura spingermi ad elencare tutti i grandi nomi della finanza, dell’industria e della politica che sgambettano felici sotto la pioggia o al freddo di questi giorni. Quello che però non mi convince, di tutto l’ambaradan, è la conclusione: facciamo ciclismo, dice quello, perché stiamo inseguendo – cito testualmente – il nuovo totem dell’efficienza fisica, dovuto al fatto di essere “uomini di mezza età che cercano di evitare crisi di mezze età”. Un po’ banalotta, come spiegazione, perché ci sono modi più sbrigativi, meno faticosi e forse anche più appaganti, a proposito di surrogati orgasmici. In realtà, l’efficienza fisica è solo una conseguenza – la più diretta – dell’appagamento psicologico. Se sono in forma o se scendo di cinque chili di peso vado più forte in salita. E quindi mi diverto di più.

Quindi, cari Mamils, prendiamo, impacchettiamo e portiamo a casa. Ma, davanti a chi cercherà di dottoreggiare sulla nostra innocente passione senza pensare alle pedalate sue, possiamo sempre rispondere: E se fosse soltanto ciclismo?
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