Quando cadde un fulmine
e colpì la guglia del Duomo

I giorni del Duomo ferito, esattamente vent'anni fa. Nella notte fra il due e il tre novembre 1990, un temporale di inaudita violenza si scatenò sulla città e un poderoso “fulmine globulare”, come fu definito, si scaricò con tutta la sua potenza sulla guglia centrale che sovrastava la facciata della Cattedrale.

COMO - I giorni del Duomo ferito, esattamente vent'anni fa. Nella notte fra il due e il tre novembre 1990, un temporale di inaudita violenza si scatenò sulla città e un poderoso “fulmine globulare”, come fu definito, si scaricò con tutta la sua potenza sulla guglia centrale che sovrastava la facciata della Cattedrale, il cosiddetto “gugliotto”, alto dieci metri, in marmo di Musso, realizzato nel 1400, decorato con colonnine, statue in rilievo e fregi. La violenza del fulmine fece ruotare e saltare le due colonnine, ne scagliò una contro la Casa dei Canonici di via Magistri Cumacini, vetri in frantumi in un appartamento in ristrutturazione e quindi disabitato. Un blocco di marmo da due quintali precipitò da un'altezza di 50 metri; il resto danneggiò la copertura del Duomo e la facciata fu sfregiata. Era notte, nessun passante, nessuna auto furono danneggiati e in questo, obiettivamente, qualcuno vide una mano dal cielo. Ma nuovi crolli sembravano imminenti: tutta l'area intorno venne transennata; furono realizzate palizzate; fu montata un'enorme gru, vigili del fuoco e tecnici comunali salirono per un'ispezione e, verificata la gravità della situazione, misero a punto un piano d'emergenza perché sarebbe bastato un colpo di vento per far piombare a terra tutto il gugliotto, piegato e spezzato.  In piazza, con il vescovo Alessandro Maggiolini, a Como da un anno e mezzo e il sindaco, Felice Bernasconi, eletto da quattro mesi, si radunò una folla e, tra le immagini indelebili, quella di alcune donne che recitavano il Rosario, non potendo entrare in chiesa. Ma erano tutti sbigottiti per la dinamica del fatto: mai, nei secoli, si era verificato un fenomeno del genere e mai, come in quella circostanza, i fedeli realizzarono che, a volte, da un male può nascere un bene. La saetta rivelò lo stato di precarietà di alcune parti del Duomo e l'urgenza di proteggerlo con un parafulmini. Pochi giorni dopo, arrivarono in città i tecnici della Protezione Civile Nazionale: apprezzarono l'operato dei vigili del fuoco e dei tecnici comunali e ne confermarono la diagnosi: il gugliotto andava smontato e ricostruito pezzo per pezzo e il sovrintendente, Alberto Artioli, seguì le operazioni applicando cultura, professionalità, ma anche ben rara sensibilità, a detta di chi lo vide al lavoro. Il Comitato per la salvaguardia del Duomo programmò e cercò i finanziamenti per una serie di interventi che, a poco a poco, con gli anni e con i sacrifici, riportarono all'antico splendore il Duomo aggredito dalle piogge acide e dallo scorrere del tempo. La subsidenza, nel frattempo, ci aveva pure messo del suo. Dapprima, davanti alla facciata, fu montata un'imponente impalcatura provvisoria, poi smontata e sostituita da un'altra ancora più forte. E non mancarono le scoperte interessanti: l'anonima incisione sul basamento del gugliotto, forse ad opera di uno scalpellino del ‘400:«Et verbu caro factu est». Doveva essere «Et verbum caro factum est», cioè il Verbo si è fatto carne, ma è evidente il richiamo all'Incarnazione, Dio che s'è fatto uomo e la pietra che s'è fatta tempio al quale le preghiere conferiscono l'anima. E quando fu il momento del restauro della facciata, si scoprì che nelle intercapedini erano stati incisi i nomi delle famiglie comasche che avevano fatto beneficenza a favore del Duomo, secoli e secoli prima. Ci sono cose che niente può aggredire.
Maria Castelli

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