Cultura e Spettacoli
Domenica 17 Aprile 2011
Rossi, Lucini e il Lario:
un'amicizia simbolista
Dalla mostra che Rancate (CH) dedica al pittore e illustratore, emerge un'inedita collaborazione con il poeta di Plesio. L'ha scoperta e la racconta il professor Vincenzo Guarracino, italianista e biografo di tanti "classici" della letteratura.
«A Luigi Rossi, maestro comacino del pennello...», recita la dedica che Gian Pietro Lucini appone al suo "Ragion poetica e programma del verso libero" (Milano 1908), firmandosi «l'amico che lo ricorda», al culmine di un'intensa stagione di rapporti, che dura già da quasi un ventennio. Un legame, questo, che non è rimasto solo sulla carta ma si è concretizzato in un reciproco scambio di suggestioni, che ha portato Lucini a "trascrivere" (ma sarebbe più esatto dire a "imitare") in versi tre dipinti dell'amico (Rêves de Jenesse, 1894, Scuola del dolore, 1895, e Il mosto, 1898), oltre che a lasciarsi guidare nell'attacco del suo romanzo coevo Gian Pietro da Core dalla tradizionale fienagione rappresentata nel quadro "L'armée du travail" dell'amico, e Rossi ad essere eletto e proclamato dallo scrittore quale autentico vessillifero di una precisa stagione pittorica, quella del Simbolismo italiano, successivamente alla "conversione" al nuovo credo artistico databile all'inizio degli anni '90, dopo una fortunata pratica di illustratore e di pittore realista e di genere. Tutto questo per molte ragioni, ma principalmente per affinità ideologiche ed artistiche, che trovano riscontro in atmosfere e afflati sociali e umanitari che dal primo si trasmettono al secondo e fanno sì che il pittore venga avvertito fraterno e solidale dal passionale e battagliero poeta di "Revolverate" (1909), precursore e sperimentatore a livello europeo del Simbolismo italiano, secondo il giudizio di Edoardo Sanguineti e prima ancora di Carlo Dossi («La sua poesia era Verità; la sua anarchia, onestà. Pochi lo compresero. Gli mancò l'arte del ciarlatano»).
Maestro "comacino" Rossi lo è in verità in senso molto lato, originario com'è del Canton Ticino e tutt'al più collocandosi nella "lucida" tradizione lombarda di una pittura che va "dal Luino al Cremona", all'interno cioè di un'ideale corrente artistica di forti effetti, fatta di realismo e gusto cromatico, come dice nel prosieguo il Lucini, ma tant'è. Lo stesso Lucini, del resto, "comacino" lo è solo per lontane ascendenze ed elezione, essendo lui milanese ma trapiantato a Breglia, nei pressi di Menaggio, già negli anni '90, per scelte esistenziali e morali osteggiate dai parenti, fino al culmine della sua vita nel 1914, ma ciò non impedisce che ci tenga molto a sottolineare questa sua "comacinità", vantandosi di appartenere a «una famiglia che non fu mai né muta né reticente nella storia lariana» tanto che «Como è ripiena delle nostre memorie, che sono sempre di carattere liberamente solista ed espansivo», come dichiara nell'autoritratto, quasi un autoepitaffio, con cui si presenta nell' "Antologia" curata da Mario Puccini per l'editore Carabba di Lanciano, uscita nel 1917 all'indomani della sua morte.
Ma torniamo a Rossi, di cui presso la Pinacoteca Züst di Rancate (Mendrisio) è stata da poco inaugurata un'interessante rassegna sul tema "Corrispondenze tra immagine e testo" a cura di Matteo Bianchi. Nato a Lugano nel 1853, dopo un periodo di formazione milanese e piemontese, si trasferisce nell''85 a Parigi, dove si afferma come fine illustratore di celebri contemporanei (Daudet e Loti) e classici antichi (Longo Sofista) e moderni (Hugo, Chateaubriand). Tornato appena tre anni dopo a Milano ma già con una solida fama di interprete sensibile e raffinato, stabilisce un fertile sodalizio con Lucini, che all'epoca sta lavorando al "simbolista" "Libro delle figurazioni ideali" e al romanzo autobiografico "Gian Pietro da Core", per il quale lo stesso Rossi appronterà l'apparato illustrativo. Nasce da qui, da questo incontro, umano prima ancora che artistico, la serie di quadri già prima citati, in cui la rappresentazione realistica e verista trascolora nel simbolo, prima di trasferirsi successivamente nei versi luciniani di "Sogno d'un pescatore" (1894), "La prima Orma" (1894) e "In lode al Mosto" (1898), debitamente accompagnati da riscontri epistolari, conservati fra le Carte d'Archivio della Casa Museo dell'artista, a Capriasca, in Canton Ticino.
Si prenda quest'ultimo testo, ispirato a un olio su tela del Maestro ticinese in due versioni di differenti dimensioni, il primo del 1898 (148×209 cm, ora alla Galleria d'Arte Moderna di Milano), il secondo del 1900-'05 (42×58, ora al Museo Villa dei Cedri di Bellinzona). Un quadro intriso di "bacchico" pathos, vibrante tutto di colore e di festa, con fanciulle danzanti in cerchio attorno a un torchio, nella cerimonia della spremitura dell'uva, che pare una sorta di allegoria della vita stessa. Un rito che il Lucini traduce alla sua maniera, con ebbrezza visionaria, in versi di lucida intensità espressiva («Raggio di sole caldo e profumato, Vita del Mondo e Sangue della Vita, / vena d'oro flagrante, nell'istante giocondo e nuziale / con sangue rosso della terra incita / bacchico ardore...»), non senza riconoscere all'amico di essersi esplicitamente ispirato al suo "bel" quadro, come è testimoniato dalla lettera con cui più tardi lo informerà di aver acconsentito alla sua pubblicazione («Caro Rossi. Sere sono, a Milano, l'amico Agazzi mi disse come era suo desiderio di pubblicare la mia lirica "Il Mosto", ispiratami dal suo bel quadro "Il Mosto". Vi acconsento di buon grado, però colla possibilità di rivedere le bozze e di sapere in quale giornale o rivista verrà edita...», s.d.). Il testo lo si ritroverà poi nell'antologia postuma curata dal Taraboni (1922), mentre gli altri due, "Sogno d'un pescatore", diventata successivamente "Or all'alba ed al vespero", e "La prima orma" («Ma piange la nera forma di Donna e colle mani / al viso tenta nasconder le lagrime e frenare / quello strazio di pianto soffocante...»), rivisitazione poetica del quadro "Scuola del dolore", vedono la luce rispettivamente nel 1894 ("Libro delle figurazioni ideali") e 1904 ("La prima ora della Accademia"), a testimonianza di un ininterrotto flusso di attenzioni e influenze reciproche, che come genera versi così si traduce anche in colori e forme (perché anche Rossi fruisce dell'amico non solo in veste di critico ma anche come fonte di suggestioni per quadri come "Cerere", "Canto dell'aurora" e la stessa "Armée du travail").
«Corrispondenze tra immagine e testo». Pinacoteca Züst, Rancate (Svizzera). Orari: da marzo a giugno: da martedì a domenica 9-12 / 14-17. Luglio e agosto: da martedì a domenica 14-18. Chiuso: lunedì. Aperto: tutti i festivi; 25 aprile, 13 giugno, 1 e 15 agosto.
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