Cultura e Spettacoli
Venerdì 10 Luglio 2009
Amore imperdonabile:
Guin narra un mistero
E' in libreria il nuovo romanzo del giornalista-scrittore comasco, che il critico Fulvio Panzeri ha letto per noi. La storia sarebbe piaciuta a Testori, a cui rinviano aspetti narrativi e scelte stilistiche
Che sia un momento particolarmente felice quello che sta attraversando la narrativa lombarda in questi anni lo avevamo già detto lo scorso anno. E non siamo costretti a rivedere le nostre posizioni, anzi forse, oggi, questa affermazione va ribadita con più forza. Dopo il successo popolare dei romanzi di Vitali, gli ottimi esordi del bergamasco Claudio Calzana e del comasco Mario Schiani, abbiamo un altro nome che si aggiunge, a ragione e per tenuta stilistica, quello di Giuseppe Guin, giornalista del nostro quotidiano, già autore di due romanzi, "Oltre le mura" del 1980 e "Qui non succede niente" del 2006, che ora arriva in libreria con il suo romanzo più maturo "L’amore imperdonabile", con una storia di impeccabile scrittura, dove tutto ciò che non serviva (dalle divagazioni descrittive alla coralità di tante storie) è stato tenuto sotto controllo e stretta osservazione, così da restituirci una storia tesa, ricca di tutti quegli umori che sono tipici della provincia che si affaccia sul lago di Como, anche se Guin si discosta dal modello di Vitali in quanto Guin non vuole dare un taglio ironico e umoristico a questa sua vita di paese, pur mettendone in scena vizi, viltà, meschinerie. Con un pregio che accompagna il lettore per tutto il libro: non riesce a far trapelare nulla di quel "mistero sul lago" che è al centro del suo romanzo. Mistero è all’inizio e mistero continuerà ad essere durante il corso della narrazione. E non saremo certo noi a rovinarvi la festa, rivelando come va a finire questa storia. Infatti la perfezione di questo romanzo di Giuseppe Guin e soprattutto la sua felicità espressiva derivano dal fatto che lo scrittore ha messo da parte tutte le ambizioni che poteva farlo deviare su altre piste e in altre direzioni: quindi niente affondo psicologico nelle figure dei protagonisti, niente giudizi morali per giustificare azioni o accadimenti: solo il piacere di raccontare una storia e soprattutto raccontarla bene, affabulando le voci che circolano nell’innominato paese sul lago. La scrittura, controllatissima rispetto alle possibili sbavature, però è viva, palpabile, grazie a questa felicità del racconto, un ritorno alla grande tradizione romanzesca italiana che raccontava la provincia in una efficace dimensione di linguaggio secco, legato alla quotidianità e ai fatti, la tradizione del Parise del "Prete bello", delle "ferrovie locali" di Cassola, ma soprattutto del Testori delle storie della periferia milanese degli anni Cinquanta. E proprio a quel Testori sembra guardare Guin, fin dalla data in cui si svolge la vicenda, il 1957, l’anno in cui Testori pubblica i suoi fortunati racconti. E questa storia dell’Elisa Vanelli di 25 anni che una sera di novembre viene aggredita davanti alla porta della Locanda del Nibbio che gestisce il padre, a due passi dal pontile della navigazione, sarebbe senz’altro piaciuta allo scrittore di Novate, per la figura dimessa e muta, che diventa una specie di ombra, dopo aver subito una violenza carnale durante l’aggressione (ricordiamo la scena che fece scandalo e fu tagliata, ora reintegrata nel restauro della pellicola, del film "Rocco e i suoi fratelli" di Visconti, con la violenza che subisce una straordinaria Annie Girardot). Chi è stato? I carabinieri brancolano nel buio, in paese si mormora, Elisa non vuole più uscire di casa, desidera solo dimenticare quella brutta notte di novembre che l’ha così segnata e le ha lasciato in grembo un figlio. Di più non possiamo dire rispetto alla storia, se non che val la pena di leggerla, perché Guin sa togliere il fiato al lettore, evitando persino di far diventare questo "mistero" una specie di "noir" anni Cinquanta, ovvero rinunciando anche a quei meccanismi che sono tipici del giallo. Questa si chiama "naturalità di scrittura", che in questo romanzo appare anche accorata di fronte alla fragilità di Elisa, ragazza lombarda che della vita assapora subito il gusto agro, sofferente, con un forte attaccamento al suo paese, al suo lago, quasi in una stretta reminiscenza di quelle radici che evoca la Lucia manzoniana nel suo "Addio monti". E lo fa quando Guin riporta brani delle lettere scritte a Berto, che l’aspetta in paese dopo che lei decide di andarsene per un po’, per riuscire a dimenticare: «Qui c’è un mare bellissimo, soprattutto alla sera, quando sulla spiaggia di sassi non c’è nessuno, ma io continuo a pensare al nostro lago e ai tramonti con le barche dei pescatori. Se vuoi scrivimi anche tu, ma soprattutto aspettami». C’è il senso dello struggimento della lontananza, del legame con le cose di casa, quelle che Elisa ha imparato ad amare da sempre, lì nel suo paese. E questo struggimento è il carattere di tutto il libro. Leggete questo romanzo: "L’amore imperdonabile" (Book editore, pag. 224, 14 euro). Vi sembrerà, nella lettura, di vedere un film in bianco e nero degli anni Cinquanta, una pellicola ritrovata che non compare in nessun dizionario di storia del cinema, che si costruisce di pagina in pagina in questo libro, dove i sentimenti non detti, vengono evidenziati dai fatti e dalle immagini che le parole di Guin creano nell’immaginazione del lettore. Così, in questo film unico ritroviamo il valore della memoria, il sapore di un tempo passato, ma non del tutto. Anche se da quel 1957 sono passati cinquant’anni, molti caratteri di questa storia rivivono ancora nella nostra provincia. Forse con un po’ di cinismo in più.
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