Il nuovo
Volta
trasloca
da Como

  Se di Alessandro Volta esistono diversi dipinti che lo raffigurano mentre mostra la pila a Napolone (uno, di Giuseppe Bertini, è conservato al Tempio Voltiano), forse un giorno qualcuno farà un ritratto, o più probabilmente scatterà una fotografia tridimensionale, a Daniele Faccio, intento a illustrare le sue scoperte sui buchi neri alla regina Elisabetta II.
Duecentoundici anni dopo il successo di Volta a Parigi (Napoleone gli conferì una medaglia d'oro, la legione d'onore, il titolo di senatore e un premio in denaro), un altro fisico comasco si sta facendo notare all'estero. Ma se da una parte si conferma un'importante tradizione lariana - quella dell'eccellenza nel campo della Fisica, che da alcuni anni vede primeggiare a livello internazionale un altro comasco, Giulio Casati, e che ha un polo di grande valore nell'intero dipartimento dell'Università dell'Insubria, oltre che nel centro di cultura scientifica intitolato proprio all'inventore della pila - dall'altra non si può sorvolare sulle motivazioni ben diverse che hanno portato all'estero Volta e Faccio (ma anche tanti altri genietti italiani di questi anni).
Se Napoleone e la Francia, all'inizio dell'Ottocento, rappresentavano un centro di potere e di ricchezza, in grado di cambiare la vita a un uomo di scienza (ma "alla vita agiata da una vana gloria preferisco la tranquillità della vita domestica", scrisse Volta ai tempi della trasferta parigina), anche l'Italia era però in grado di assicurare alle sue menti migliori uno stipendio e un riconoscimento sociale adeguati. Volta, alla fine, passò l'esistenza terrena tra l'università di Pavia e la sua città natale, dove ebbe incarichi importanti come quello di preside del liceo che porta il suo nome e di provveditore agli studi. Faccio, e come lui diversi brillanti colleghi comaschi dell'Insubria e del Politecnico e tanti altri sparsi per l'Italia, pure sarebbe incline alla tranquillità della vita domestica (lo confermano le foto su Facebook con moglie, figlio e cane e la comune passione con Volta per le passeggiate in montagna: non a caso entrambi hanno vissuto a Brunate), però emigrare diventa un'opportunità irrinunciabile per chi alla soglia dei quarant'anni si ritrova stoppata la carriera al livello base di ricercatore universitario, a causa del blocco dei concorsi e delle assunzioni, e vede ogni anno più difficile reperire i finanziamenti per la ricerca.
"La ricerca e le idee dipendono dalle persone, non dai soldi", rimarca giustamente Faccio, che ha appena avuto una nuova ribalta internazionale, grazie a un articolo che gli ha dedicato "New Scientist". Ma contestualmente non può che augurarsi che l'Italia possa al più presto "riparare i danni della momentanea difficoltà nella gestione delle risorse". Un "momento" che ormai dura da diversi anni: già prima che la crisi si aggravasse, l'Italia aveva cominciato la politica dei tagli proprio a partire dall'istruzione, dalla ricerca scientifica e, più in generale, dalla cultura. Il contrario di quello che ha fatto il mondo anglosassone: come dimenticare che sia Lincoln che Obama, all'apice delle due più crisi più gravi degli ultimi duecento anni, sono intervenuti all'Istituto americano di Fisica per sottolineare che è proprio in momenti come questi che bisogna investire nella ricerca per aprire nuovi orizzonti alla collettività?
Per uno scienziato passare da ricercatore in Italia a professore associato nel Regno Unito, vuol dire veder quasi raddoppiare il proprio stipendio (da 1850 a 3mila euro al mese), ma soprattutto sfuggire alla mannaia dei tagli, che recentemente, proprio a Como, ha doppiamente colpito l'università e la ricerca: dove il ministero era intervenuto con pesanti potature, la Provincia ha buttato il diserbante (vedi gli 85mila euro annui tolti al Centro Volta e i 100mila a Univercomo).
Pietro Berra

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