Caduti e stadio,
monumenti da vivere

“Più che la città della cultura, Como è la capitale dell’inconcludenza”. La battuta dell’architetto Fulvio Capsoni calza per tali e tante vicende cittadine che elencarle tutte, in poche righe, è quasi impossibile. Tra le altre spicca quella del Monumento ai Caduti, un simbolo della città, tanto noto e apprezzato in tutto il mondo quanto poco considerato dai comaschi. Un po’ perché in questi ultimi non è ancora radicata (lo sarà mai?) la consapevolezza circa il valore del patrimonio di cultura e di monumenti, in particolare legati al Razionalismo, che è proprio della città. Ma, certo, ci sono anche ostacoli oggettivi che limitano la possibilità di conoscere da vicino l’opera di Terragni: l’accesso al pubblico, che pure è relativamente recente, è garantito sì ma solo la domenica e grazie ai volontari ed è inutile specificare che le visite non sono né adeguatamente promosse, né supportate da guide e materiale così come avviene in ogni altro luogo di cultura, sia esso un museo o anche solo un palazzo di rilievo.

Ieri, in un convegno organizzato da Fratelli d’Italia, è stato lanciato una sorte di appello a favore del Monumento che va valorizzato sul piano culturale ma anche tutelato meglio di fronte alle aggressioni dei vandali (spendiamo ogni anno 12 mila euro per rimuovere scritte e scarabocchi e la situazione è quella che è).

Cosa fare? Telecamere e soprattutto cancelli, le stesse concrete soluzioni di cui si parla da vent’anni – fu Alessio Butti, assessore comunale nel 1995, a lanciare l’iniziativa – ma sempre rimaste sulla carta. Pare, giusto per non spostarsi troppo, l’eterno dibattito relativo al nuovo stadio.

Trent’anni fa, negli anni di massima gloria sportiva del Como, c’era come noto l’ipotesi di Lazzago. Tante parole fino all’ultimo capitolo, quello scritto dall’attuale amministrazione comunale che punta a una riqualificazione dello stadio finanziata dal capitale dei privati. Si tratta, va da sé, di un’operazione complessa e il cui esito è ancora tutto da verificare.

Il grande calcio in riva al lago, al netto dei disagi che derivano dal sostanziale isolamento in cui viene posto un intero quartiere, è un’eventualità piena di fascino.

Ma sono molti anche i contro: possiamo permetterci il centro bloccato a ogni partita? Forse, l’indicazione giusta si trova tornando alle origini: l’architetto Luigi Greppi aveva concepito lo stadio come impianto polisportivo (calcio ma anche ciclismo, moto, ginnastica e pugilato) e polifunzionale (ristoranti e locali accanto ai campi). Un progetto così concepito, pure tanto vicino alle esigenze dei comaschi, forse oggi non sarebbe realizzabile.

Di certo ciò che va evitato è un impianto di solo calcio, utilizzabile dai cittadini-spettatori una volta ogni due settimane.

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