Formazione, l’esempio
vincente di Cantù

Ormai è un dato acquisito. Tra le condizioni per diventare un Paese più moderno, più vicino al resto del mondo, c’è quella di ripensare il rapporto tra la scuola e il mondo del lavoro. Oggi soffriamo antichi pregiudizi anche nei territori più avanzati qual è il nostro.

La formazione professionale, troppo di frequente, continua ad essere percepita come una sorta di “ripiego”, destinato ai ragazzi con un background familiare basso, magari appartenenti alla seconda generazione di immigrati. Una strada buona per chi ha capacità limitate o la necessità di entrare nel più breve tempo possibile nel mondo del lavoro, anche con un profilo di medio-basso livello.

In Germania, le cose vanno diversamente. Gli studenti tedeschi che si rivolgono al canale professionale non sono necessariamente studenti con retroterra familiari deboli, quanto ragazzi motivati che intravedono nella qualificazione professionale un’opportunità di ascesa sociale. Si tratta di un modello positivo, che funziona ed è rodato. Alla sua base sta l’esigenza di creare una forza lavoro altamente qualificata e nelle aziende è prassi riconoscere gli step formativi conseguiti prima e dopo l’assunzione. Si è creato in sostanza tra il mondo della scuola e quello del lavoro un rapporto virtuoso, alimentato dalla fiducia reciproca.

Da noi c’è tanto da fare ma è confortante registrare come ciò di cui si parla, in fondo, a Cantù c’è già stato per tanto tempo alla Scuola d’Arte, almeno nella fase pionieristica degli inizi e della prima parte del secolo scorso.

Gli allievi dovevano imparare a leggere e anche a schizzare con grande abilità disegni di mobili. Non dovevano quindi essere soltanto dei bravi esecutori, ma dovevano avere cognizioni non banali di disegno. Fu, la Scuola d’Arte, il felice connubio di due eccellenze.

Oggi, fatti i dovuti cambiamenti e i riferimenti alle mutate situazioni storiche, agli artigiani si chiedono spesso e volentieri grandi abilità e capacità professionali. Prova ne è il riscontro ai corsi Enaip o, sempre per quanto riguarda il legno, l’interesse ai master del Politecnico. I numeri sono piccoli ma qualche segnale incoraggiante c’è.Tra le storie raccolte all’ultimo corso Enaip c’è quella di un giovane geometra che ha deciso di accettare la sfida di una nuova qualificazione professionale per ovviare a una disoccupazione prolungata. Le barriere di un tempo, complice forse la crisi, stanno sgretolandosi. Ma c’entra anche la trasformazione del nostro sapere pratico.

Ai falegnami 2.0: servono conoscenza dei materiali, perché i mobili non sono più fatti solo con il legno, ma con leghe di plastica, con parti in metallo, conoscenze nel campo del design, della moda. L’immagine naif che associa gli imprenditori della Brianza a una proverbiale assenza di interessi di tipo culturale, non ha più reale riscontro. All’immagine dell’artigiano con la pialla forse bisogna ora sostituire quella dell’imprenditore che usa tutti gli strumenti più sofisticati della tecnica. Altro che il Cayenne di Marco Ranzani.

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