Editoriali / Como città
Mercoledì 17 Luglio 2013
Immigrati non è solo
questione di polizia
Immigrati e polizia
Qualche settimana fa, all’Istituto Universitario Europeo di Fiesole. La ricercatrice svedese informa il suo uditorio di giuristi italiani che faranno un po’ di fatica a seguire alcuni concetti perché l’Italia, contrariamente agli altri Paesi europei, intende le regole dell’immigrazione come questione di polizia e non come una materia normale.
A quel po’ di fatica si aggiunge per me un po’ di offesa: sarà pur vero, ma non è che noi italiani dobbiamo sempre fare la figura degli arretrati. Ripenso a quell’episodio sentendo la relazione in Parlamento del ministro Alfano sul caso
di Alma Shalabayeva e della figlia, espulse dall’Italia e ora a rischio nel Kazakistan.
Dice Alfano: finché l’operazione era la ricerca di un kazako descritto come pericoloso latitante tutti erano informati e attenti; quando si è passati all’espulsione di una donna e di una bambina le carte sono girate burocraticamente e la cosa non è stata riferita ai vertici.
Alcune ombre sull’intera ricostruzione sono state evidenziate nel dibattito parlamentare; ma per chi sa come più o meno vanno queste cose la gestione burocratica e poliziesca della vita di quelle due persone è una spiegazione credibile.
Il fatto è – aveva ragione la svedese – che per i nostri apparati e per le nostre leggi l’immigrazione è questione di polizia.
E noi finiamo col credere che le file di persone negli uffici stranieri della questura siano una cosa normale, e che “buttare via” un immigrato, uomo, donna o bambino, sia comunque un successo. Quello che – forse – è successo con la donna e la bambina kazake.
La ricetta di Alfano, che promette interventi sul dipartimento immigrazione del suo ministero non è la sola possibile.
La questione dell’immigrazione coinvolge i temi della regolazione degli accessi, dell’asilo ai rifugiati, delle relazioni internazionali, dell’integrazione sociale e culturale, del contrasto alla criminalità.
C’è molto da fare, e sarebbe bene che le polizie si occupassero solo dei criminali.
Per tutto il resto – è tanta roba – perché non pensare a un agile ministero dell’immigrazione, che valuti i fenomeni nel loro complesso, fornisca delle linee generali di intervento e poi dialoghi direttamente con le comunità locali?
È l’anagrafe, non la caserma, il luogo dove regolare l’immigrazione e provare a farne una cosa buona.
Le comunità locali già hanno la sensibilità sull’integrazione possibile ma in questo momento sono prive di competenze incisive, che potrebbero essere loro attribuite: censire senza ombre gli stranieri residenti, verificarne l’attività, capire dove e come alloggiano; e dunque scovare i cittadini che dall’irregolarità traggono vantaggi; fornire dati aggregati e costanti.
Certo, con le necessarie risorse. Ma è, ad esempio, su un adeguato trasferimento di risorse dallo stato ai comuni per questi compiti che si potrebbe misurare una buona politica.
Sarebbe un modo di affrontare il problema dell’immigrazione, che riguarda la vita quotidiana di tutti - noi cittadini europei e gli immigrati - senza dover per forza scegliere tra operazioni di polizia e battute da osteria.
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