La brianza ha venduto
l’anima al diavolo

Non si può fingere stupore quando la cronaca ci racconta delle infiltrazioni mafiose che coinvolgono il nostro territorio. Da diversi anni ormai sappiamo che l’infiltrazione mafiosa, a vari livelli, anche politici, non è più solo un fenomeno isolato al Sud d’Italia, ma è una questione che ci riguarda da vicino e che in qualche modo rischia di mettere in ginocchio non solo il sistema Brianza in sé, ma anche l’anima stessa della nostra terra.

È un dato di fatto: il nostro territorio vive l’allarme ’ndrangheta e che questo si estende dalla Brianza, da pochi anni diventata provincia,
facente capo a Monza fino a quella lecchese come i risultati delle inchieste di questi giorni mettono in luce. Non è dei casi specifici che vogliamo parlare, ma di questa inquietante trasformazione che riguarda non solo i politici e gli imprenditori che, secondo la magistratura, intessono rapporti di interesse personale con la criminalità organizzata, ma tutti noi che consideriamo Brianza la nostra terra. Forse è troppo tardi per dirlo, forse si sarebbe dovuto affrontare la questione dieci o vent’anni fa, in modo, non tanto di arginare il fenomeno, ma per limitare i danni. Le infiltrazioni nel tessuto industriale e politico non sono certo un fenomeno recente: probabilmente ora non si può fare a meno di parlarne vista la gravità degli episodi e visto che il “controllo” malavitoso dimostra quanto anche le porte delle istituzioni possano aprirsi e la collusione con i poteri istituzionali sia un rischio che non è possibile correre. Prima si parlava di aziende dove il controllo dell’a ’ndrangheta era diventato totale, poi l’indagine si è allargata e ha trovato reati anche nelle municipalità cittadine.

L’amarezza di questa constatazione è quella di trovare di colpo una Brianza che non può più vantare l’orgoglio della propria libertà e di una ricchezza, non solo materiale, ma anche morale, ma in varie situazioni si trova ad essere asservita ad un nuovo potere, asservimento che non è nella sua storia, nella sua tradizione, nella sua cultura.

Il mito di una terra che si è costruita da sé, ritenendo il lavoro una questione fondante la propria identità, lavoro per dimostrare eccellenze produttive, esportazioni di un made in Italy di qualità, lavoro vissuto con passione, anche se spesso visto come un “vizio insanabile” da chi viene da fuori, crolla nel momento in cui la gestione del lavoro viene condivisa con “il braccio violento della criminalità”.

Probabilmente la crisi economica, con le difficoltà che hanno messo in ginocchio l’imprenditoria italiana, ha fatto sì che il ricorso al sottosuolo mafioso diventasse più ricorrente, magari di fronte a situazioni economiche diventate insostenibili. Ciò però non giustifica la scelta di operare “al di fuori della legge”, perché è da ingenui pensare che anche solo il più piccolo cedimento di fronte al potere delle famiglie mafiose, possa essere una possibilità concreta di aiuto. È chiaro che scendere a patti con la criminalità vuol dire firmare la propria condanna, in quanto ci si lega ad un sistema dal quale non è più possibile uscire .

Così se si dovesse pensare alla Brianza di oggi, si vedrebbe la premonizione di un declino da “fine Impero”, con grandi e voraci aquile che solcano il cielo, pronte ad afferrare con i propri artigli, gli elementi più deboli e più appetibili del territorio. La questione inquietante è che non ci sia una ribellione in questa Brianza di oggi, che ci si lasci “demonizzare” dal crimine, sapendo di spalleggiarlo e di esserne complici, coscienti che, una volta accettata, l’alleanza, la vita non sarà vita piena ma solo sopravvivenza, perché le proprie sorti non saranno né gli imprenditori, né i politici che hanno ceduto alla rapacità delle aquile a deciderle, ma le cosche della criminalità.

Già un grande scrittore come Testori, alla fine degli anni Ottanta, vale a dire circa vent’anni fa, nel rileggere, a teatro, la parabola di Faust che diventava “Sfaust”, ambientava simbolicamente il testo in Brianza, in una delle sue frequenti visioni profetiche. Ora possiamo solo chiederci, perché certa Brianza (non tutta ovviamente) ha accettato il patto con il suo Faust malavitoso.

È proprio necessario vendere l’anima al diavolo, per andare avanti? Su questo è necessario riflettere e forse tornare indietro, alla ricchezza dignitosa, costruita da sé, con il proprio lavoro duro e con l’eccellenza della propria creatività. Vendere l’anima, distrugge. E sappiamo tutti quanto il diavolo possa essere subdolo e ingannatore.

Siamo ancora in tempo, per salvarci, non solo per noi, ma per i nostri figli e per la terra che amiamo. Ognuno può fare, per sé, le scelte, anche distruttive, che vuole: sappia però che la giustizia prima o poi lo chiamerà a rispondere del proprio operato. Ha però una responsabilità nei confronti della terra che abita e la Brianza, al diavolo, non si può vendere. A nessun prezzo.

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