L’eredità di Terragni
e la Como di domani

alzi la mano chi di voi è mai stato al cimitero di Uggiate Trevano. In questi giorni avrete l’occasione per recuperare la lacuna e scoprire la differenza tra certi camposanti cresciuti senza un’idea che non fosse quella di fare spazio ai morti, cosa che li rende persino più gelidi e anonimi di tanti palazzoni per i vivi ispirati allo stesso principio, e quei pochi dove si intuisce un’idea di fondo, in questo caso un progetto affidato nel 1939 al Attilio Terragni, il fratello ingegnere di Giuseppe, numero uno degli architetti razionalisti. Oggi, domani e dopo si celebra il secondo Open day del Razionalismo ed è un fatto importante per lo sviluppo della città di oggi - città e provincia, naturalmente - non solo e non tanto sotto il profilo architettonico e urbanistico, ma sul piano culturale e, perché no, anche turistico. Un livello che ci riguarda tutti, in quanto esseri umani, la cui qualità della vita non può prescindere da quella dei luoghi in cui viviamo e da come li viviamo.

«Le case dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città», dice l’ultimo punto, l’ottavo, del Manifesto dell’Architettura futurista pubblicato nel 1914 da Antonio Sant’Elia, l’architetto comasco morto sul Carso, di cui il prossimo 10 ottobre ricorrerà il centenario. Si era sbagliato di grosso? Forse no. Forse la sua non va letta come una profezia, ma, al pari di tante scritture figlie del loro tempo (a partire dalla Bibbia), richiede, e merita, una riflessione sull’essenza del messaggio che contiene. Un invito potente a non essere passivi rispetto alla città che cresce, o si degrada, intorno a noi. A incidere sull’identità degli spazi che abitiamo. A scegliere. E per scegliere consapevolmente è importante conoscere.

Ecco perché può essere una bella scoperta per tutti, anche per quelli che non si riconoscono nelle linee nette e perpendicolari degli edifici razionalisti, approfittare dei tanti monumenti aperti in questi giorni, da Como a Cernobbio, da Ossuccio all’Isola Comacina, da Erba alla già citata Uggiate Trevano. È importante ricordare un tempo in cui lo spazio urbano è stato pensato per il fruitore, il cittadino, dall’infanzia (l’asilo Sant’Elia, la più poetica delle opere di Terragni) fino alla morte (il cimitero di cui sopra), dalle case private (il Novocomum, Casa Cattaneo a Cernobbio, Villa Leoni in Tremezzina...) agli elementi di arredo, come la fontana di Camerlata. Senza dimenticare il concetto di trasparenza della pubblica amministrazione sotteso alla Casa del Fascio di Terragni, “il mio partenone”, come l’ha definita il poeta Giampiero Neri, quasi novantenne, che da bambino conobbe l’architetto e ora parteciperà con una lettura di poesie alla visita guidata al Monumento ai Caduti di Erba.

Questo weekend è innanzi tutto un’occasione per riappropriarsi del senso profondo di una parte del nostro territorio e dell’eredità di un’epoca della quale troppo a lungo si sono dimenticati i lasciti culturali, buttati via assieme alla dittatura, offuscati dal clima di rissa continua tra opposte fazioni che ancora divampa in qualche talk show televisivo. Tra le occasioni, anche quella di salire fino in cima al Monumento ai Caduti di Como e finalmente riconquistare la visione del primo bacino del lago, oscurata da dieci anni non soltanto dal cantiere delle paratie, ma da una scissione tra noi cittadini e i politici che abbiamo espresso, da una parte, e il paesaggio che ci ospita dall’altra. Ricucirla è difficile, anche per chi ha buona volontà. Per ora accontentiamoci della riapertura del Centro Studi Terragni, ché non averlo avuto più per alcuni anni è stato un altro scandalo, passato sotto silenzio: come se, andando a Recanati, si trovasse la casa di Leopardi trasformata in magazzino.

A proposito di buona volontà, merita una lode quella dei tanti - enti, associazioni e privati - che hanno ampliato la rete già sperimentata nel 2014, per rendere fruibile questo patrimonio razionalista, che è una delle ricchezze di Como. È certamente, quella di fare squadra ed essere sinergici, una delle virtù di cui il capoluogo lariano ha difettato per molti anni. Ma per diventare un punto di riferimento per il turismo culturale manca ancora qualcosa: le aperture (animate e coordinate) dei monumenti razionalisti, per esempio, andrebbero programmate e promosse con mesi di anticipo, affinché ne possano godere anche i tanti appassionati stranieri che da decenni vengono a Como alla spicciolata per Terragni & C.

Invece sembra che non basti nemmeno un preavviso di cent’anni - quelli da cui si sapeva dell’anniversario di Sant’Elia del prossimo 10 ottobre - per lavorare con tempi da città che vorrebbe fare della cultura un fattore di crescita (e di indotto). E il verbo lavorare andrebbe inteso in senso un poco più letterale: non lasciare che tutto, o quantomeno troppo, ricada sulle spalle di volontari, come quelli che stanno lavorando proprio al centenario di Sant’Elia, con una visione del potenziale e delle connessioni internazionali, che la città nel suo complesso ancora non coltiva abbastanza. Ma che fanno parte del Dna lariano. E l’Open day del Razionalismo, ultima grande stagione in cui Como si è meritata l’appellativo di porta d’Europa, ce lo ricorda.

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