Lucini e lo spettro
che aleggia a palazzo

Se ci fosse un Renzi alle viste e se la legge consentisse di cambiare il sindaco in corsa senza passare dal voto, Mario Lucini potrebbe interpetare in maniera perfetta la parte di Enrico Letta. Salutato con grande entusiasmo e grandi aspettative nel giorno del suo insediamento a palazzo Cernezzi (esattamente come il nipote di Gianni alla presidenza del Consiglio), si ritrova ora contestato e criticato da una buona fetta dei suoi sostenitori.

Basta sfogliare La Provincia uscita in questi giorni: alle proteste virulente dei commercianti contro l’estensione della zona senz’auto e, forse in maniera più condivisibile, contro i criteri e i tempi di adozione del provvedimento, si aggiunge una netta bocciatura da parte del presidente degli albergatori, Roberto Cassani, un allarme lanciato dall’ex presidente dell’Ordine degli architetti Angelo Monti sull’immobilismo della città (lo potete leggere nelle pagine di cronaca).

Basta poi girare per Como per capire come tra la gente vi sia scontento per le condizioni in cui si trovano le strade martoriate dalle buche, il verde e l’arredo urbano. Tutte quelle piccole cose per cui, a prescindere dalle difficoltà di bilancio del Comune, dalla nuova amministrazione ci si sarebbe aspettato di più. C’è che sostiene che si stava meglio quando si stava peggio. Cioè nell’epopea di Stefano Bruni.

Anche sul versante politico, le acque sono tutt’altro che tranquille, nonostante i comunicati e le dichiarazioni ufficiali che tentano di gettare camomilla sul fuoco. L’assessore Gisella Introzzi ha un tasso di impopolarità non irrilevante all’interno della stessa maggioranza, dove i consueti appetiti di poltrone rischiano di creare una situazione dagli esiti incontrollabili.

Per questa ragione il sindaco ha deciso di blindare la squadra perché toccare una sola casella significherebbe il rischio di un effetto domino. Ma questa certo non è la cura migliore per il mal di pancia. Il fatto che, con apprezzabile sincerità, Lucini ammetta di non trovare nessuno (si presume all’esterno dell’amministrazione) all’altezza della poltrona di assessore alle Finanze, è un’altra spia di un rapporto con la società civile che si è sfilacciato. Certo, va detto che quell’assessorato è un cammino di spine paragonabile al ministero per l’Economia del governo nazionale. Renzi però alla fine un volontario con le carte in regola lo ha trovato. Il primo cittadino di Como rischia invece di essere costretto a tenersi una delega che non agevola certo la popolarità , con un bilancio che gronda sangue e costringerà il sindaco assessore, salvo miracolosi interventi di soccorso renziano, ad agire sulla dolorosa leva delle tasse comunali. Considerato che i comaschi sono reduci da un aumento dei parcheggi blu (il famoso incremento deciso dal dirigente Lorini all’insaputa di Lucini e dell’assessore alla partita Daniela Gerosa, poi cancellato dal sindaco ma solo per qualche mese) si può comprendere come possa essere accolta un’altra stangatina.

Insomma, mettendo tutto in fila, forse il sindaco dovrebbe avviare una riflessione sullo stato dell’arte del suo percorso amministrativo e magari far conoscere qual è il suo disegno di città. Non tanto per riguadagnare popolarità, ma per agevolare la sua opera. senza doversi confrontare e scontrare ogni giorno con i critici dentro e fuori il palazzo.

Certo, il suo, oggi, è uno dei lavori più ingrati e difficili. Ma il fantasma della giunta Bruni, rimasta di fatto immobile per due anni a causa delle divisioni interne e di una serie di decisioni sciagurate, è lì che aleggia ancora nell’ufficio più importante di palazzo Cernezzi.

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