Quel Leopardi
che Como nasconde

C’è chi su Leopardi ha di recente costruito un metodo didattico per appassionare i propri studenti e un bestseller che ha coinvolto decine di migliaia di italiani (parliamo di Alessandro D’Avenia e del suo “L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita”). Qualcun altro ne ha fatto un divo del cinema: Mario Martone che con “Il giovane favoloso” ha contribuito ad allontanare dal poeta recanatese lo stereotipo del gobbo infelice e sfortunato. Attorno ad alcuni manoscritti leopardiani è scattata una gara di solidarietà, dopo che lo scorso ottobre il terremoto del centro Italia ha colpito il Comune di Visso (Macerata), rendendo inagibile il museo che li custodiva: la municipalità di Bologna, in particolare, ha temporaneamente adottato l’apocrifo dell’“Infinito” costruendovi attorno iniziative culturali pro terremotati. E poi c’è Como, che ha la fortuna di avere nelle proprie collezioni museali un manoscritto di Leopardi da più di cento anni e lo tiene nascosto.

Sulla cantica “Appressamento della morte”, quella di cui il museo storico Garibaldi possiede il testo autografo, potrete leggere sulle pagine di cultura di domani l’articolo di Vincenzo Guarracino, autorità nel campo, avendo curato per Mondadori la “Guida alla lettura di Leopardi”. Sempre sul giornale di domani, per la precisione sul nostro supplemento culturale “L’Ordine”, Roberto Tanoni del Centro nazionale studi leopardiani di Recanati racconterà con maggiore competenza di chi scrive quanto l’autore del “Sabato del villaggio”, a 180 anni dalla morte, sia più che mai popolare e richiami persone che da ogni parte d’Italia, e non solo, vanno a visitare la sua casa natale e i luoghi che hanno ispirato le sue poesie. A me non resta che fare un’osservazione quasi banale: ma perché, mentre giustamente si dibatte su come rendere più attraenti i musei civici comaschi, ponendosi obiettivi condivisibili ma non immediati come il trasferimento della Pinacoteca e l’apertura al pubblico dell’ex Casa del Fascio, nel frattempo non si valorizzano alcune risorse già esistenti?

E’ vero, già alla fine dello scorso gennaio, dopo il successo della mostra dei disegni di Antonio Sant’Elia alla Triennale di Milano (in buona parte provenienti dalla Pinacoteca di Como), e più in generale l’attenzione del mondo per il suo centenario, avevamo proposto di intitolargli la stessa Pinacoteca civica, rendendo contestualmente più visibili i suoi disegni nell’allestimento (permanente o a rotazione). Un’operazione a costo zero (salvo cambiare la carta intestata), ma con un forte impatto, poiché veicola una parte importante dell’identità culturale di Como a chiunque visiti la città e a tutti gli appassionati di architettura e di arte contemporanea sparsi per il mondo. Abbiamo registrato sul giornale il consenso pressoché unanime degli addetti ai lavori, ma non è giunta alcuna reazione (se non una precisazione un po’ piccata sul numero, comunque non esaltante, dei visitatori di Palazzo Volpi) dal maggiore interessato, il Comune di Como. Niente di male: lo stimolo potrà essere raccolto dalla prossima amministrazione, visto che il centenario si concluderà il 10 ottobre.

In attesa di una risposta su Sant’Elia, spezziamo una lancia anche a favore di Leopardi, premettendo che la disattenzione non è colpa di questa o di quella giunta, ma probabilmente è piuttosto una spia della scarsa considerazione in cui Como ha tenuto le discipline umanistiche negli ultimi 155 anni: tanti ne sono passati da quando Zanino Volta scoprì il manoscritto nella soffitta della casa di famiglia, al n. 62 dell’omonima via, e successivamente lo pubblicò a proprie spese. Probabilmente un editore milanese lo aveva donato all’illustre prozio scienziato e lo stesso Leopardi sarebbe venuto a Como nel 1825 per cercare di recuperarlo, invano. Già l’aneddoto che c’è dietro sembra fatta apposta per ingolosire il “turista culturale”. A livello storico letterario, va da sé che l’“Appressamento della morte” è un’opera giovanile che il genio recanatese compose a 18 anni, non paragonabile con “L’infinito” e gli altri canti famosi, ma se dell’”Infinito” quello di Visso è considerato una “brutta copia” dell’altra conservata a Napoli, nel nostro caso la critica ha attribuito maggior valore al manoscritto comasco rispetto a quello napoletano e per questo lo si trova riportato sia nell’opera omnia di Leopardi edita da Sansoni ne 1969 sia sul web. Inoltre il quinto canto, il più valido, è già una prova potente della poetica leopardiana e anche di quella sua peculiare “Arte di essere fragili” oggi tanto di moda: mentre sente la morte appresso, il poeta postadolescente è già consapevole della propria grandezza e si rammarica per ciò che il mondo perderà con la sua persona.

E noi comaschi che cosa stiamo perdendo, mentre teniamo il manoscritto di Leopardi in cassaforte invece di mostrarlo con orgoglio tra le chicche dei nostri musei? Non è mai stato nemmeno incorniciato, ci fanno sapere con rammarico dagli stessi musei civici, spiegando che per questo non sarà possibile esporlo nemmeno per poche ore in occasione della passeggiata creativa del 18 giugno, condotta da chi scrive e che partirà da Palazzo Giovio proprio per gettare un ponte tra lo scienziato (e poeta a tempo perso) Volta e tre grandi letterati del suo tempo con cui intrattenne relazioni (Foscolo e Pellico, oltre a quella più accidentale con Leopardi, oggetto di un altro articolo in uscita domani a firma di Alberto Longatti).

Più che una semplice cornice, per l’”Appressamento della morte” occorrerà una bacheca, essendo composto da 5 canti in terzine dantesche, per complessivi 878 versi. Cominciamo ad attrezzarci.

© RIPRODUZIONE RISERVATA