Un nuovo cibo
per l’era dopo la crisi

Ebbene sì, l’Italia sembrerebbe fuori dalla recessione. Lo certificano i dati sul Pil diffusi qualche giorno fa dall’Istat, secondo cui il Paese registra nel I trimestre del 2015 una crescita dello 0,3%. Non siamo degli sciocchi e ne prendiamo atto, senza perderci in sterili sofismi numerici. Come pure, altrettanto positivamente, scrutando meglio l’orizzonte, appare chiaro che, quando usciremo definitivamente da questa crisi globale di paradigmi, oltre che economica, quello che troveremo ad aspettarci in termini d’abitudini quotidiane ai consumi e di stili di vita, non sarà certamente uguale a ciò a cui eravamo abituati otto o dieci anni fa.

Siamo, infatti, al centro di un cambiamento epocale, all’interno del quale dobbiamo ri-definire, in questo caso con velocità, le regole, i linguaggi, persino i modi di vivere e di comunicare.

Non a caso il consumatore contemporaneo ha dinamicamente elaborato nuove esigenze, nuovi modelli di consumo, nuove metodologie di vita, sperimentando in questi recenti e difficili anni, differenti strategie di difesa, di “resistenza” nei confronti di una crisi che tutti quanti abbiamo pagato. Per paradosso possiamo però affermare che la crisi abbia generato un processo creativo, una rete d’opportunità che, al di là di specifiche e drammatiche situazioni, ha favorito il ritorno a valori profondi, a pratiche di lavoro e di consumo diverse, alla ricerca di nuove ritualità che accrescano un clima di lealtà e di rispetto nel rapporto con le persone. La ricerca di comportamenti virtuosi, più critici, ma non di rinuncia alla felicità e alla crescita, ha portato alla ri-scoperta di pratiche basate sulla capacità di utilizzare conoscenze e buon senso nel rapporto con le materie prime, con l’ambiente, con la natura, con il cibo, nei confronti della terra e del modo di produrre. In ogni settore, in ogni campo delle attività quotidiane c’è una domanda crescente di riconoscimento del “saper fare”, o, meglio ancora, del sapere e della manualità conseguente; per fare meglio e, soprattutto, per generare consapevolezza.

Se pensiamo, ad esempio, al mondo che ruota attorno al cibo, intuiremmo come da tempo il consumatore stia modificando le sue abitudini, attraverso dei cambiamenti decisivi che si riversano e si riverseranno sempre di più lungo la complessa filiera produttiva di ciò che si mangia.

Persino il successo mediatico di Expo 2015, ad esempio, è la conseguenza di questa fase trascorsa e così ricca d’implicazioni strategiche. Un periodo in cui sono stati messi in discussione i vecchi paradigmi del cibo (l’abbondanza, lo spreco, il lusso, la fame), favorendo altresì la nascita di un nuovo consumatore che è divenuto dinamicamente consum-attore, trasformandosi nel tempo in co-protagonista della filiera, per giungere ad essere, in molti casi, co-produttore e/o consum-autore, in grado di condizionare creativamente la produzione.

In questo quadro, l’alimentazione diviene una particolare cartina di tornasole nell’individuare le tendenze e, soprattutto, nel favorire comportamenti che prefigurino il cambiamento, possibilmente applicando modelli di sistema basati sui principi della sostenibilità.

Per questo, se abitualmente nel monitorare gli stili di vita è sempre stata la moda o il design a percepire anticipatamente i temi che poi interessano in modo più ampio la società, è oggi invece il cibo, la sua produzione, il suo consumo, a generare una riflessione che ci permette di capire il presente, per progettare adeguatamente il futuro.

Fondamentale per l’evoluzioni di questi virtuosi comportamenti e stato l’investimento di chi ha creduto nell’educazione e nell’informazione alimentare, di coloro che hanno attivato sul campo percorsi per favorire l’auto-consapevolezza del consumatore finale.

Perché mai come oggi, ciò che si acquista e si consuma, acquisisce, in termini esperienziali, nuovi e più complessi significati, che vanno ben oltre il classico valore d’uso del prodotto.

Tutto è sempre più interconnesso. E, il cibo insegna che bisogna imparare a guardare a una nuova frontiera dei consumi e della produzione, del rapporto uomo e natura, dell’economia con l’ecologia, della ricchezza con la povertà.

Il cibo, perciò, inteso come linguaggio globale, come una rete di valori, di terminali, per leggere e interpretare il presente, per comprendere meglio il futuro. Il cibo che, speriamo dopo Expo, diviene fenomeno trasversale alle grandi questioni sociali ed etiche che attraversano il pianeta. Il cibo, quindi, come bussola esistenziale e, non dimentichiamolo, anche come uno dei grandi bisogni e piaceri dell’umanità.

vicepresidente di Slow Food

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