"Siamo andati nello Spazio
senza mai muoverci da casa"

A Erba il racconto dei fratelli Judica Cordiglia, radioamatori fuori dal comune

Dai pini argentati della bella villa di Erba, in via Dante, alla Nasa, i fratelli Judica Cordiglia ne hanno fatta di strada, e molta di questa fantastica avventura l’hanno intrapresa attraverso le stelle. L’esperienza straordinaria - come loro stessi la descrivono, a margine dell’incontro promosso nei giorni scorsi dai Lions di Erba all’Hotel Leonardo da Vinci - fu di aver intercettato per primi la voce di Juri Gagarin durante il primo volo dell’uomo nello spazio nel 1961 e aver registrato le spedizioni ufficiali, e quelle segrete, di lanci russi e americani nel bel mezzo della guerra fredda. Fu dal centro spaziale Torre Bert, creato dai due fratelli tra le colline torinesi, che Achille e Gian Battista Judica Cordiglia ascoltarono i drammatici messaggi di 14 cosmonauti, uomini e donne, impiegati in missioni spaziali sovietiche che non fecero più ritorno sulla Terra. Questi inquietanti retroscena, testimonianza della competizione senza scrupoli tra Usa e Urss per la conquista dello spazio, sono stati raccolti nel loro volume Questo il mondo non lo saprà pubblicato da Edizioni Vitalità.<Fu un viaggio meraviglioso, pieno di emozioni - Achille, classe ’33, è commosso quando lo ricorda - cominciammo da ragazzi nell’abbaino di casa nostra, con attrezzi rudimentali. La prima destinataria dei nostri messaggi fu nostra nonna, la cara nonna Teresa, che abitava nella casa di fronte. Una mattina si presentarono due carabinieri che si erano accorti dei nostri “traffici nell’etere” e nostra mamma, che in realtà era preoccupatissima, cercò di mantenere il sangue freddo. Tutto finì con una ripresa bonaria, ma noi non smettemmo di esplorare le frequenze radio. Finché nel ‘57 intercettammo il bip bip del primo Sputnik russo. Da lì si aprì la nostra avventura».
«Studiando le frequenze riuscimmo a individuare quattro centri spaziali situati nel territorio dell’Unione Sovietica - interviene Gian Battista, più giovane di Achille di sei anni - Quando i russi da terra trasmettevano una comunicazione ai loro satelliti, la facevano seguire ad una nota musicale. Noi non capivamo perché, finché un giorno nostra madre entrò nella nostra stanza e ascoltò la sequenza. Ci disse “Ma ragazzi, questo è Mussorgsky”. Ebbene… i russi usavano un brano musicale (del compositore russo Modest Mussorgsky, 1839-1881, ndr) come codice: quando la sequenza era completa partiva il lancio. È così che siamo riusciti a seguire tutte le loro operazioni spaziali».
<Si tenga conto che si era in piena guerra fredda - continua Achille - la Russia tenne nascoste le sue esplorazioni al mondo e soprattutto all’America, fino al successo di Gagarin. Ma prima di quell’evento fummo testimoni di esperimenti in cui diversi cosmonauti persero la vita. Ne registrammo il battito cardiaco e i medici non ebbero dubbi nel dire che si trattava di battito umano. Nel ’61 raccogliemmo in diretta il messaggio sconvolgente di una astronauta, che si chiamava Ludmilla, che morì nella sua navicella dopo aver perso i suoi due compagni. Ludmilla chiamò aiuto disperatamente. Quando si rese conto che non c’era più niente da fare, pronunciò le parole “Questo il mondo non lo saprà” che è il titolo del nostro libro. Purtroppo furono 14 le tracce di cosmonauti che raccogliemmo prima che Gagarin concludesse con successo il primo volo dell’uomo nello spazio».
<E anche quella fu un’emozione - continua Gian Battista - perché intercettammo le sue parole prima che l’agenzia Russa le diffondesse. E quando nel 1964, a soli 29 e 23 anni, fummo ospiti della Nasa e facemmo ascoltare a uno dei più potenti direttori la nostra registrazione di Glenn (John Glenn, primo astronauta americano che nel 1962 orbitò intorno alla Terra) continuava a ripetere “No possible”. Quando si rese conto che era tutto vero, sbiancò. Gli americani non furono teneri. Arrivarono uomini della Cia e del Nsa, l’agenzia di sicurezza nazionale,  che ci misero alle strette con domande sulle missioni. Chiesero se eravamo pagati dal governo italiano o da quello russo. Appurato che non eravamo altro che due ragazzi che avevano messo a frutto i loro sogni ci lasciarono andare. Organizzarono per noi un viaggio indimenticabile nei più importanti centri spaziali americani. Fu bellissimo, come è stata bella la nostra avventura in ascolto dello spazio».

Veronica Fallini

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