Omicidio Di Giacomo
Minacce a uno degli indagati

Trasferito nel carcere di Bergamo Leonardo Panarisi, coindagato per la morte del piccolo artigiano di Colico trovato cadavere in un furgone giallo lo scorso mese di ottobre. Avrebbe ricevuto una lettera intimidatoria nella sua cella del Bassone

COMO - Leonardo Panarisi, 52 anni, uno dei due indagati per l'omicidio di Antonio Di Giacomo, è stato trasferito sabato dal Bassone al carcere di Bergamo. Il provvedimento sarebbe stato intrapreso a titolo cautelare: nei giorni scorsi Panarisi ha ricevuto in cella una lettera anonima in cui lo si invita a confessare quel che lui ha sempre smentito, cioè un coinvolgimento diretto nell'omicidio Di Giacomo. La lettera sarebbe stata correlata di minacce nei confronti suoi e dei suoi familiari.

L'avvocato Pierpaolo Livio, che lo difende, ha spiegato che il testo ha «toni non violenti ma perentori» e che il contenuto del messaggio è decisamente «non equivoco». Di più: una copia della stessa lettera sarebbe stata recapitata addirittura in questura. Sarà comunque consegnata, nei prossimi giorni, al pm che indaga sul delitto, il sostituto procuratore Antonio Nalesso. L'inchiesta, nel frattempo, batte ancora gli stessi binari delle prime settimane, quando Panarisi ed Emanuel Capellato, l'altro indagato - proprietario del bilocale di via Cinque Giornate in cui si compì il delitto - iniziarono ad accusarsi l'un l'altro. Il tentativo di chiarire i ruoli attraverso accertamenti tecnici, per ora ha prodotto molto poco. È tramontata in fretta l'idea i eseguire una perizia sull'angolazione dei colpi - due - esplosi alla testa della vittima: poteva servire, in teoria, ad accertare la statura del killer, ma i consulenti tecnici hanno spiegato che sarebbe bastata una diversa inclinazione del polso per vanificarne l'attendibilità.

È atteso invece l'esito di un accertamento effettuato sul marsupio di Panarisi, destinato a individuare eventuali tracce di polvere da sparo ma anche in questo caso, una risposta affermativa consentirebbe al limite di poter dire che egli ebbe con sé un'arma da fuoco, più difficilmente che la utilizzò. La pistola, peraltro, non fu mai ritrovata: la polizia recuperò qualche pezzo di una automatica nell'armadietto di Capellato, all'interno del bar in cui lavorava, ma nient'altro. Resta il giallo, il mistero di un omicidio ferocissimo e al contempo incomprensibile: perché alla necessità di chiarire chi, tra i due indagati, abbia materialmente sparato, si aggiunge anche quella di fotografare un movente plausibile. Fino a oggi si è parlato di un debito contratto da Capellato nei confronti di Panarisi, che il primo avrebbe voluto far pagare a Di Giacomo. Il mistero rimane.

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