Nuovo ospedale:
 a piedi sotto la pioggia

Como: ai posteggi stretti si sono anche abituati, agli ascensori lenti pure, ma a quell'uscita effetto deserto proprio no. «Ma chi è quel genio di architetto che ha fatto l'uscita dai parcheggi così lontana dall'ingresso?». Puoi percorrere la passerella a qualunque ora del mattino o della sera e senti sempre continuamente la stessa critica

COMO Ai posteggi stretti si sono anche abituati, agli ascensori lenti pure, ma a quell'uscita all'aperto effetto deserto proprio no. «Ma chi è quel genio di architetto che ha fatto l'uscita dai parcheggi così lontana dall'ingresso?». Puoi percorrere la passerella a qualunque ora del mattino o della sera e senti sempre continuamente la stessa critiche. A parte la gente che chiama in redazione per lamentarsi o scrive al giornale, basta andare all'ospedale in un giorno qualsiasi per raccogliere una serie di lamentele senza fine. «Guardi quella signora lì, con l'ovetto, le sembra possibile che una mamma con un bambino così piccolo debba fare tutta questa strada al freddo?». Bruna Colombo guida la rivolta, ma è solo un nome dei tanti che la seguono. «Guardi quell'altra, incinta - commenta Antonia Bencini -. Guardi quanta fatica fa». «È un ospedale moderno come si fa a non pensare l'accesso alla hall direttamente dai sotteranei. Hanno sbagliato tutto». Cambia giorno, stessa scena. «Visto mamma, sono giornalisti - indica una telecamera - . Bisognerebbe raccontargli le pecche dell'ospedale, non solo i pregi». Prego: «Vede mia mamma? Guardi, ha 80 anni e il bastone - dice Maria Berti -. Siamo arrivati e ha dovuto camminare fino a qui. Ma vede come va lenta? È un ospedale, non un parco giochi. Si presume che chi viene stia male, sia anziano, malato, che fatichi a respirare e a camminare. Perchè mai un soggetto in queste condizioni dovrebbe fare così tanta strada? Invece deve». Arriva la neve e il quadro è desolante. «Servirebbe un autista, altro che la tettoia - commenta una signora curva su se stessa -. Dovrebbero mettere una di quelle macchinine che usano al golf, visto che non hanno previsto il camminamento coperto». «Ma dovrebbero fare il tapis roulan come negli aeroport - aggiunge sua figlia -. Tutti quei soldi spesi per la hall, ma si sono dimenticati la cosa più importante. Un ospedale enorme con pochi posteggi che non hanno neppure un collegamento diretto al corpo centrale». Altro cambio di giorno e arriva l'altro ieri. Al meno tre ci sono quattro persone che aspettano l'ascensore: «Uno è rotto». L'altro impiega un'eternità ad arrivare. Arriva una dottoressa, spazientita. Controlla che non vada davvero il secondo ascensore, schiaccia i pulsanti, guarda il display. L'ascensore è fermo allo zero. Passano altri minuti. Meno uno. Altra attesa. Meno due. Altri minuti. Meno tre. Quando le porte si aprono l'asensore è strapieno. «Ci stiamo?». «Non ci stiamo». La dottoressa si gira di scatto e spalanca la porta delle scale. La seguono i ragazzi che sono appena arrivati. Aspetta il prossimo giro i quattro dell'inizio che sono anziani e non possono salire tre piani di scale al freddo. Che già in cima avranno la loro passerella da fare. «Perfino il vecchio Sant'Anna era meglio attrezzato - si lamenta Ada Pozzi -. Possibile fare un ospedale nuovo e non pensare a queste cose». Ci sono cinquanta passi da fare, con il freddo che taglia il volto anche a quelli sani. Sembra una sfida alla salute ancor di più ieri con la pioggia e un'altra sequela di lamentele. Una sfida alla quale vengono sottoposti ammalati di tutti i tipi, persone deboli, sfiancate giovani mamme con bimbi in braccio o passeggini. L'ospededale ha detto: la faremo. Ma il futuro, in questo caso, serve subito. Passerella e tapis roulant.

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