La carica dei ragazzini
In battello sul "Molo 14"

I battelli arrivano a Bellagio da lontano carichi, stracarichi di ragazzi. Hanno 14 anni, sono il futuro. Monsignor Diego Coletti lo sa. E li incita, come fossero figli suoi. E li striglia, come fossero suoi fratelli. In prima fila sul pontile, il vescovo si scatena.

COMO I battelli arrivano a Bellagio da lontano carichi, stracarichi di ragazzi. Hanno 14 anni, sono il futuro. Monsignor Diego Coletti lo sa. E li incita, come fossero figli suoi. E li striglia, come fossero suoi fratelli. In prima fila sul pontile, il vescovo si scatena. Stringe le mani alle mamme, accarezza le teste ai bambini, anche a quelli che piangono spaventati dai botti. Scherza con i papà. Parla e fa sorridere un sacerdote indiano. E poi si ferma, si gira, guarda i ragazzi che sono ancora sul pontile del battello e grida loro: «E voi lassù che fate? Tornate indietro? No eh. Vi voglio tutti qui». Sono 1.440, partiti da Villa Olmo e da Colico. Un'infinità di anime che non devono perdersi e seguire la strada del Signore «perché solo qui c'è la libertà, perché non c'è nessuno che è morto per noi senza che neanche ce lo meritassimo». Hanno tutti 14 anni. Molo 14 significa questo. La svolta. Dall'infanzia all'adolescenza. L'imbuto di preoccupazioni, timori, incertezze che bisogna superare per diventare grandi. Alcuni sembrano intimiditi. Altri no. Sono davvero in tanti e serve un bel po' di tempo prima che scendano tutti. Da Como e provincia ne arrivano 726, da Sondrio e circondario 714. Del Lecchese ci sono solo i ragazzi di Abbadia, Mandello e Lierna, 7 parrocchie, perché tutti gli altri fanno capo alla diocesi di Milano. Si perdono la giornata in battello. «Non tutti sono perfetti», scherza il vescovo. E quando gli chiedono se lui a 14 anni era così risponde: «Peggio». Non sta fermo un attimo l'ammiraglio Diego. Appena scende dal battello risale sull'imbarcazione degli animatori di Bellagio che gli improvvisano un concerto al ritmo della sua canzone di chiesa preferita. I giovani lo incitano come fosse una rockstar e quando applaudono qualcuno commenta: «Sì, ma guarda che applaudono a lui, non a noi». «Dammi il cinque». Come un giocatore di pallacanestro americano, saluta i ragazzi così. Con il cinque. È un vescovo che usa un linguaggio basso per far passare concetti alti. «Io in questi ragazzi vedo un serbatoio di vita e di cose bellissime - dice -. Ma dobbiamo essere noi adulti ad aiutarli ad inseguire passioni alte, progetti grandi e a non dobbiamo lasciare che si accontententino di piccoli egoismi. È la nostra sfida». Solo a questo punto, sulla sfida, il vescovo piega un po' la bocca, come se il dubbio di potercela fare lo attraversasse, come se pensasse che il compito è difficile. Tenere lontani i ragazzi dal pensiero che la vita «sia solo la sbronza del sabato sera o non dico altro o sconfino nel porno» (risata generale di 1440 ragazzi), come dirà poi nell'omelia. Ma dura un secondo, il dubbio. Per un secondo dopo è pronto a incitare tutti, a partire dai suoi sacerdoti che come lui hanno un sacco di energia addosso. «Perchèa Dio non si può credere solo a 14 anni, ma bisogna crederci anche dopo». E questo Molo 14 dovrebbe essere il fondamento del cammino che seguirà poi. «Perché nella vita bisogna essere felici. E divertirsi», la consegna del vescovo ai ragazzi.
Anna Savini

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Eco di Bergamo Al Molo 14