Arte al femminile
L'analisi di Collina

Il pittore e critico fotografa il fenomeno delle donne artiste, alla conquista delle gallerie e del mercato. Nelle produzioni al femminile prevalgono "ibridazioni" tra arte, spettacolo, moda. Una modalità di espressione luccicante - scrive l'autore - leggero, sempre fluttuante. Ma esiste un linguaggio artistico al femminile?

di Giuliano Collina

Ultimi anni cinquanta, primi anni sessanta, Milano, Accademia di Belle Arti, scuola di Marino Marini. Dentro i grandi, storici spazi di Brera, noi studenti, nell'ambizione di un futuro privilegiato, ci esercitavamo nelle prove generali di quel mestiere che poi avrebbe dovuto riempire gli anni della nostra vita. Apprendisti pittori, si lavorava in reciproca sinergia e in libertà di tempo e di luogo, perché le aule erano sempre aperte per noi e soprattutto perché pochi eravamo. Qualche ragazzo, non molti, pochissime ragazze, gli assistenti, i maestri e certamente anche i bidelli.
Poi, trent'anni dopo, dopo il sessantotto e dopo la restaurazione degli anni settanta e ottanta, quello studente di allora era diventato docente proprio in una Accademia di Belle Arti. Negli anni novanta insegnavo pittura e tecniche pittoriche all'Accademia Cignaroli di Verona e i miei studenti erano presenti nelle aule a frotte. Era finito il tempo degli aut aut: «o studi o vai a lavorare», il lavoro già scarseggiava e allora meglio parcheggiare la prole negli spazi scolastici, magari dentro facoltà di poco impegno come le Accademie di Belle Arti. Così, se la percentuale femminile era stata prima molto bassa, perché i genitori consenzienti a un futuro da pittrice per le loro figlie erano ben pochi, dopo avvenne il contrario. I miei studenti alla Cignaroli erano tanti, parecchie decine e la percentuale femminile era diventata altissima, qualcosa come l'ottanta, il novanta per cento.
A quel punto un quesito si imponeva: fino alla seconda metà del novecento le pittrici erano state pochissime nella storia dell'arte, alcune anche molto brave, ma certamente non influenti a proposito delle scelte, delle strategie, dei linguaggi, mai protagoniste e semmai sempre fin troppo pronte a tentare quel mestiere a imitazione dei modi maschili. Fino ad allora le donne artiste sembravano impegnate soprattutto a far dimenticare la loro femminilità. Ma dopo? Da quando la compagine femminile nelle Accademie si è così tanto infoltita, non potrebbe essere nata un'arte al femminile? Magari un'arte nuova?
Lo so, fa un po' ridere l'idea di un'arte maschile e di un'arte femminile, forse è solo un falso problema… eppure… Ma come potrebbe essere un'arte al femminile? Non intendo certo qualcosa come una declassazione di quella maschile, non certo un'arte più fragile, più superficiale, se mai penso a qualcosa di "altro", di davvero diverso. Un po' come se ci venisse proposta un'arte di un altro mondo, magari estranea agli inizi, ma poi del tutto complementare.
Nel Rinascimento, due pittrici, Sofonisba Anguissola e Artemisia Gentileschi, ci hanno lasciato dipinti che oggi sono nei musei. Le loro opere testimoniano la loro partecipazione al mondo dell'arte alla pari dei colleghi uomini; dotate per le arti figurative e capaci tecnicamente, hanno dipinto come i loro maestri, magari anche meglio… ma sempre nella loro scia. Nell'Ottocento, la tedesca Käte Kollwitz fu pittrice e scultrice di un'umanità devastata dalla povertà, dai contrasti sociali, dal dolore e dalla violenza. Ottima è anche la sua opera grafica, i suoi fogli testimoniano un'assoluta padronanza del disegno e anche una generosa, genuina capacità di partecipazione al mondo del lavoro e alle lotte sociali. Oserei dire che la Kollwitz è davvero un "grande pittore". Così come Germaine Richier è stata un ottimo scultore: nata nel 1904 a Grans sul Rodano, ha vissuto la sua vita d'artista con i grandi maestri del suo tempo, da Giacometti a Hartung. La sua scultura vive di materie corrose e di iconografie inquiete. Il suo linguaggio risente di tutti i contrasti del tempo proprio come quello dei colleghi che l'hanno… nutrita.
Fin qui, dunque, l'arte era l'arte, una sola, né maschile, né femminile. Così sembrerebbe davvero doveroso ritirare il quesito, smetterla con ipotesi prive di fondamenti scientifici e basate solo sulla voglia di capire che cosa sta succedendo ai nostri giorni nel nostro immediato contemporaneo. Ma forse sarebbe un po' come negare l'evidenza, perché quella compagine che da poco è entrata a plotoni nelle gallerie, nei musei, nel mercato dell'arte e che sta imponendo magari non un nuovo linguaggio, ma certamente un modo nuovo di affrontare le problematiche dell'arte contemporanea è formata da donne. Un modo fatto di ibridazioni tra l'arte, lo spettacolo, la moda. Un modo luccicante, leggero, sempre fluttuante. Grandi, ma anche piccolissime opere costruite con grazia, anche un po' dipinte, ma sempre attente ai materiali della nostra contemporaneità, attente affinché chi le guarda ne sia suggestionato, non negli occhi, ma sulla pelle. Le mostre di quest'arte vivono di illuminazioni stroboscopiche, di specchi, di stoffe, le opere scaturiscono improvvise dal buio, agiscono sulle nostre percezioni subliminali, sui nostri nervi. Forse ancora le donne artiste non hanno inventato niente, ma il terreno di coltura è certamente pronto. Stiamo a vedere. Nel mondo dell'arte il nostro tempo è dilaniato dai contrasti tra pittori e pittori, tra critici e artisti, tra collezionisti e direttori di musei, oggi gli artisti sembrano sempre più isolati e privi di credibilità e dunque non ci volevano anche… le artiste: ma questo è un pensiero maschile.

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