Arrighi in carcere
«Qui ho trovato la verità»

In una lettera che l'onorevole Maurizio Lupi riporta nel suo libro, l'ex commerciante racconta di se stesso, della sua vita in cella, del cammino verso un destino che è in qualche modo segnato, a prescindere dall'esito della sua parabola giudiziaria.

COMO Maurizio Lupi e alberto Arrighi, onorevole ed ex vicepresidente della Camera il primo, omicida ed ex commerciante il secondo.
A un anno di distanza dalla condanna a trent'anni rimediata per uno dei delitti più feroci della nostra storia, l'ex armaiolo di via Garibaldi compare, un po' a sorpresa, tra le pagine di un libro che il milanese Lupi - autodefinitosi «cattolico integralista», una robusta e antica militanza ciellina - dedica alla sua esperienza politica e amministrativa ("La prima politica è vivere", ed. Mondadori, pagg. 100, euro 17.50).
In una lettera che Lupi riporta nel suo libro, l'ex commerciante racconta di se stesso, della sua vita in cella, del cammino verso un destino che è in qualche modo segnato, a prescindere dall'esito della sua parabola giudiziaria:«Ti rendi che tutto è diverso in carcere, il tempo ha un altro valore, potresti vivere senza orologio, senza il calendario - scrive Arrighi -. In cella passi la maggior parte del tempo in branda perché non c'è spazio, e cominci a riflettere... sulla tua esigenza di vivere, su questa nuova quotidianità, in cui non ti riconosci ma che ti impone comunque di riconquistare te stesso. Poi accade l'inaspettato;l'incontro con un volto, con un cuore, un luogo dove ti invitano a cambiare il punto di vista sulla dura realtà che stai vivendo, senza pretendere di cambiarla. Ma cos'è la libertà oggi? Libertà è esigenza di giustizia e verità ma tutto aspira ad Altro. Finalmente oggi rispondi con serenità alle domande esistenziali, alle quali facilmente prima sfuggivi perché... in altre faccende affaccendato». Tuttora detenuto al Bassone, Arrighi lavora quotidianamente al centro stampa del carcere, e aspetta il processo d'appello, previsto per la primavera prossima (non c'è ancora una data). Oltre al riferimento a una «esigenza di giustizia», la lettera all'onorevole conferma anche l'avvio di un percorso di fede nel quale l'ex armaiolo ha evidentemente investito moltissimo, come racconta chi gli è ancora accanto. Sul processo d'appello punta moltissimo: tornerà a giocarsi tutte le sue carte, legate alla volontà di dimostrare d'avere senz'altro ucciso ma senza preordinazione, cioè senza avere premeditato.
Se i giudici di Milano gli crederanno, quei trent'anni potrebbero diventare qualcuno di meno.

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