L'ultimo saluto a Paolo
una perla da ricordare

Il piccolo Paolo, morto a undici anni tra le mura di casa, è stato accompagnato al cimitero. E c’era una chiesa stracolma, sabato, a Rebbio, per i funerali. Quello che segue è il testo dell’omelia di don Angelo Riva, che pubblichiamo per gentile concessione dei genitori

COMO Ieri pomeriggio, alle due, il piccolo Paolo, morto a undici anni tra le mura di casa, è stato accompagnato al cimitero. E c’era una chiesa stracolma, sabato, a Rebbio, per i funerali. Quello che segue è il testo dell’omelia di don Angelo Riva, che pubblichiamo per gentile concessione dei genitori, che vogliono anche in questo modo ringraziare le tantissime persone che sono state e sono loro vicine: la presenza di una comunità spesso silenziosa, ma forte, costante. Tentativo pur fragile di far sentire quel papà e quella mamma meno tristi, meno soli.


Accogli, Signore, i gusci vuoti delle nostre parole.
In questi giorni, davanti al corpicino esanime di Paolo, accanto al pianto inconsolabile di mamma e di papà, tutti noi abbiamo collezionato tanti silenzi. Lunghi, rispettosi, a volte imbarazzati silenzi, alternati a poche, stentate parole. Parole difficili e faticose, simili a gusci vuoti, a conchiglie incapaci dell’eco del mare, mute del brusio della vita.
Le nostre parole… Non possiamo tacertelo, Signore, ma a denti stretti, forzando ogni pudore, dando voce alla ferita del cuore, ci sembra quasi che le nostre parole si volgano all’imprecazione. Non certo l’imprecazione volgare, ma quel sibilo dell’anima, quella lama tagliente che sembra gridare: «Dov’eri Signore?». Dov’eri mentre l’oscurità avvolgeva una casa e un bimbo? «Un Nemico ha fatto questo» dice il santo Vangelo: dov’era la tua mano forte, protettiva? Dov’era l’angelo custode, mentre più o meno allo stesso orario, dentro le mura della tua cattedrale una nonna ne invocava la protezione per i suoi figli e i suoi nipoti?
Perdonaci, Signore, non è la sfida, non è la ribellione, ma è l’amore ferito, la speranza messa alla prova, la fede scossa nelle radici che ci fa dire così.
Però poi fra i gusci vuoti delle nostre parole umane amare e risentite, ne abbiamo trovate altre, diverse. Le abbiamo carpite, come un soffio insieme tragico e soave, dalle labbra di una mamma e di un papà. «Paolo è volato in cielo - dicevano quelle parole - e di là ci proteggerà». «La Madonna in cielo, continuerà ad accarezzarlo, come ho fatto io per undici anni». Non più gusci vuoti, queste, ma parole luminose di forza e di tenerezza. Le parole della fede.
O Signore, solo tu puoi trasformare i gusci vuoti delle nostre parole inutili in ostriche preziose che custodiscono la perla della fede, della speranza, dell’amore. L’ostrica sbattuta dalla tempesta cerca invano di sputare fuori quel sassolino spigoloso che la violenza del mare le ha conficcato dentro attraverso le valve. Ormai quel sassolino appuntito fa parte di lei. Non le resta che fasciarlo di lacrime e di amore. Forse un giorno ne nascerà una perla luminosa e bellissima, perfettamente sferica, come mai sono le cose della vita. Signore, da chi andremo? Sostieni la nostra fede vacillante. Abita il nostro dolore, fanne uno scrigno della tua Presenza. Riempi Tu, di Te, i gusci vuoti delle nostre parole. Con la perla preziosa della speranza. Col balsamo della tua consolazione. «Vieni padre dei poveri, vieni luce dei cuori. Consolatore perfetto, ospite dell’anima, dolcissimo sollievo. Nella fatica, riposo, nel pianto, conforto. O luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli. Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina».
Perché qui c’è una vita da continuare, un uomo e una donna che devono incamminarsi prendendosi per mano, una famiglia che deve ripartire. E un ricordo dolcissimo, quello di Paolo, da onorare.

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