I cinesi ci dicono
che è ora di cambiare

I cinesi imparano il mestiere, poi fanno da soli, vendono a metà prezzo e qui si va in crisi». Si tratta di uno dei tanti messaggi raccolti ieri sul nostro sito (www. laprovinciadicomo. it) a proposito dell’accordo firmato a Shangai dall’Accademia Galli per portare a Como e formare qui, nel campo del tessile e della moda, un gruppo di studenti universitari cinesi. È uno dei tanti messaggi, ma il contenuto è un’efficace sintesi dell’orientamento prevalente dei post sul web.

In quasi tutti questi ultimi, infatti, appare chiaro come la Cina sia percepita come una realtà minacciosa, da cui è bene innanzi tutto difendersi, una realtà arretrata dal punto di vista culturale (vengono - si dice - a rubarci il segreto del mestiere) ma imbattibile sul piano economico (lavorano sempre - si dice ancora - non stanno forse comprandosi aziendine e aziendone anche dalle nostre parti?), una realtà di cui, per chiudere, è meglio non fidarsi perché – è il giudizio sottinteso – ciò che la caratterizza è solo la sete di denaro e potere. Scrive un altro lettore: «Una classe di cinesi studierà il tessile a Como, perfetto così si approprieranno anche di questo nostro lavoro eccellenza unica comasca. Complimenti che mosse intelligenti, poi ci si lamenta che non cè lavoro e occupazione».

Ora, al netto della montagna di leggende metropolitane che interessano i cinesi – dalla misteriosa origine degli involtini primavera ai periodici casi di donne scomparse nei negozi dei parrucchieri orientali - molte delle considerazioni dei nostri lettori non piovono dalla monnezza del web ma si fondano su ciò che l’esperienza concreta ha loro insegnato negli ultimi anni. Già perché il termine cinese, agli occhi dei comaschi, è tante volte associato a contraffazione, sfruttamento della manodopera, prostituzione.

Giusto, si tratta del quadro che si presenta nelle strade della nostra città ma siamo certi che si tratta della stessa Cina interessata dal progetto universitario dell’Accademia Galli? La risposta, ovviamente, è no perché, ancorché non campato per aria, il dibattito sul nostro sito ha dato una rappresentazione oleografica e sicuramente parziale di ciò che rappresenta oggi la Cina, grande potenza, tra i principali mercati di riferimento del nostro export. Ma da dove nasce la paura per i cinesi? Una delle cause, probabilmente, è che la Cina mette in evidenza tutta la nostra arretratezza e allo stesso tempo la necessità che il Sistema Italia cambi alla svelta.

Certo, senza la Cina, avremmo forse potuto vivacchiare ancora per un po’. Dall’Oriente è arrivata la spinta al cambiamento, perlomeno ci siamo convinti che per continuare a essere protagonisti serve un Paese nuovo. Un’Italia che non ha paura della Cina ma che innanzi tutto abbia il coraggio di fare i conti con le proprie debolezze e contraddizioni.

Pensare di farcela chiudendoci su noi stessi, magari imponendo barriere doganali per sottrarsi alla globalizzazione, è una tentazione diffusa ma alla lunga peggiorerebbe solo le cose.

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