La terza Repubblica
o forse la Prima 2.0

Mattarella è il primo presidente della Repubblica con il nome Sergio ed è espressione dell’ex sinistra democristiana (prima di lui forse ci sono stati anche Gronchi e Cossiga, però meno etichettabili), quella componente culturale ispirata al cattolicesimo sociale e che ha nel suo Pantheon Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira e la Comunità del Porcellino (non del Porcellum, si badi bene), che prende il nome dal soprammobile dell’abitazione romana delle sorelle Pia e Laura Portoghesi in cui sono stati elaborati importanti capitoli della nostra Costituzione. Sicuramente il nuovo capo dello Stato, che oltretutto arriva dalla Corte Costituzionale (una delle istituzioni meno amate da Silvio Berlusconi), ha il psiche du role politico per ricoprire la carica a cui è stato eletto.

Sergio Mattarella, è stato più volte ribadito anche ieri, è un mite ma non un debole. E poi nella presidenza della Repubblica, lo abbiamo imparato negli ultimi vent’anni, è la carica che fa la persona più che il contrario. Perciò è meglio aspettare prima di liquidarlo come una figura notarile in stile quirinalizio pre Pertini. Lo sarà quando e come il Parlamento e le forze politiche non renderanno necessaria un’invasione di campo. Di certo, questa elezione rappresenta una piccola grande vittoria della politica che sembrava messa all’angolo dall’antipolitica. Merito di Renzi, che sarà un telegenico e verboso “ganassa” ma è anche un sopraffino animale politico e di potere che, lo abbiamo capito in questi giorni, non si muove mai a caso e, forse, a differenza di altri che lo altro preceduto nella leadership del centrosinistra, riesce ad avere una prospettiva strategica.

L’ineccepibile manovra che ha portato Mattarella sul Colle è la gemmazione della presa di potere nel partito e nel governo e della capacità di intortare Berlusconi per fargli avvallare una serie di riforme (su tutte quella elettorale) che sembrano cucite su misura per perpetuare il ruolo da dominus della politica nazionale dell’ex sindaco di Firenze. Renzi ha piegato la riottosa, rissosa e donchisciottesca minoranza del Pd con l’incubo delle urne e delle candidature imposte dalla segreteria. Perché, signora mia, siamo tutti idealisti ma con le terga ben appoggiate alla poltrona (vedi alla voce Alfano senza quid, comodamente ammansito con i medesimi argomenti). Certo, adesso, nel patetico tentativo di salvare la faccia ci saranno alzate di scudi e vigliaccherie parlamentari, ma roba da poco.

Con quel resta del Cavaliere, poi, Matteo ha portato a casa ciò che non sono riusciti a ottenere D’Alema e Bersani: andare a trattare in posizione di forza e farla valere. In fondo, ormai, a Silvio, più che il partito interessa salvare la ghirba e le aziende. L’essenza del Nazareno è tutta qui. Con buona pace di coloro che hanno scordato la sortita dell’ex leader Massimo negli studi di Canale 5, comiziando in difesa dei Puffi.

Forza Italia e Ncd (dove è partita l’inevitabile e grottesca resa dei conti) escono a tocchi. Nespole che cadono dall’albero sotto il quale potrebbe ritrovarsi seduto Corrado Passera con il suo partito, finora cosa da pochi intimi . Ma un altro scossone è arrivato anche in casa di quell’altro presunto campione dell’antipolitica, Beppe Grillo. Il quale sembra aver fatto apposta a muovere le sue truppe per dimostrare che appena la politica mostra un minimo di muscoli per gli antagonisti c’è poco da fare. Non a caso, il bastone del comando del fronte antipolitico è in mano al più politico di questo bigoncio (come lo è in Francia Marine Le Pen), Matteo Salvini, l’unico anti Renzi rimasto sulla piazza ma con rapporti di forza per cui ne dovrà mangiare di polenta. Viene in mente il motto sull’orbo re nel mondo dei ciechi.

Questa elezione forse, come quella di Oscar Luigi Scalfaro nel 1992, segna uno spartiacque. I titoli di coda sull’effimera Seconda Repubblica e l’avvio di una terza che, incarnata da Mattarella, potrebbe essere una Prima 2.0.

© RIPRODUZIONE RISERVATA