Migranti? Paghiamo
scelte pilatesche

Sono passati poco più di due mesi dal tragico naufragio al largo dell’Isola dei Conigli che costò la vita a 366 persone, e di nuovo l’emergenza migranti conquista le prime pagine. Le procedure di disinfezione adottate al Centro di accoglienza di Lampedusa e rivelate da un filmato trasmesso dal Tg2 hanno giustamente sollevato indignazione da tutti fronti.

Indignazione legittima ma decisamente un po’ tardiva, perché a ben vedere quello che è accaduto a Lampedusa è un po’ l’esito quasi ineluttabile di politiche pilatesche che lasciano marcire le situazioni senza mai provare ad affrontare in modo più intelligente i problemi.

Nessuno ha la ricetta in tasca, ma è chiaro che il modello che regola le strutture di “accoglienza” per gli immigrati clandestini in Italia è un modello pensato più per nascondere i problemi più che mettersi nella prospettiva di risolverli.

Ed è un modello anche notevolmente costoso, a dispetto delle condizioni in cui i migranti si trovavano a vivere, soprattutto nei momenti di sovraffollamento per le periodiche emergenze. Secondo fonti dello stesso Ministero degli Interni (da cui le strutture dipendono) la gestione dei Centri per immigrati costa allo Stato italiano oltre 200mila euro al giorno, in media circa 45 euro per ogni straniero. A queste cifre vanno sommato poi il lavoro delle forze dell’ordine impegnate a garantire la sicurezza all’interno dei Centri e le spese per le pratiche legali .

Quello che è accaduto a Lampedusa non è una falla in un sistema che funziona, ma è una inevitabile deriva di un sistema che ha fallito. Prendiamo il caso dell’immigrato che filmando la scena, con le persone nude, all’aperto, che si dispongono alla procedura di disnfezione da parte degli operatori. Era lì da oltre due mesi, parcheggiato come in un limbo. Infatti davanti al ripetersi delle emergenze il legislatore ha continuamente esteso i tempi di legittimo trattenimento nei centri. A Lampedusa questo significa che 500 persone stanno prolungatamente in una struttura con una capienza di circa la metà. Sembra difficile pensare che convivenze così complicate e prolungate non siano a rischio di rivolte. Proprio Lampedusa due anni fa era stata incendiata da alcuni ospiti esasperati, ragion per cui la sua capienza ancora oggi è ridotta.

C’è poi il capitolo di chi viene chiamato a gestire questi centri. In gran parte dei casi sono cooperative sulle quali non è giusto gettare genericamente la croce, perché su di loro viene scaricato un compito oggettivamente complicato sotto tutti i profili. A Lampedusa c’era però una cooperativa finita già nel mirino della magistratura per presunti illeciti profitti sui richiedenti asilo. Questa cooperativa era iscritta a Legacoop, cioè fa parte di quell’area politica che si è sempre opposta alla legge Bossi Fini e alle politiche migratorie securitarie adottate dall’Italia. Siccome l’indignazione in vicende come queste si spreca, è giusto aspettare i risultati dell’inchiesta, come ha detto il ministro Cancellieri. Ma inevitabilmente tutta la vicenda lascia l’impressione che la gestione dei migranti si sia ridotta ad un grande affare che va bene a tanti, anche a chi a livello politico ha sempre predicato l’opposto. Una cosa infatti è certa: non è per mancanza di soldi che questo sistema ha fallito.

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