Riforma del Senato
Obiettivi e debolezze

Da qualunque posizione politica si guardi l’operato del Governo Renzi, non può essere negato che i propositi riformatori che ne avevano caratterizzato l’insediamento si stiano effettivamente realizzando.

Fra i molti, vorrei citarne due. Il primo, agli onori della cronaca tutti i giorni, è il disegno di legge costituzionale di Riforma della Parte II della Costituzione; il secondo, con mia grande sorpresa passato sotto silenzio fra i media, è il disegno di legge di riforma del terzo settore. Prendo avvio dalla riforma costituzionale che, come noto, approderà alla discussione in aula al Senato lunedì prossimo. Il disegno di legge costituzionale ha quali oggetti principali la riforma del Senato e del sistema delle autonomie locali. Sebbene i due temi abbiano ampie connessioni, in questo contributo mi limiterò a considerare la proposta di riforma del Senato. Gli obiettivi, dichiarati o meno, della riforma del Senato sono due: riduzione del costo della politica e riforma del doppio passaggio parlamentare (c.d. bicameralismo), foriero di inutili navette fra le due Camere del Parlamento.

Sufficientemente chiare ed efficaci sono le modalità con cui viene realizzato il primo obiettivo: riduzione del numero dei senatori a 100 - rispetto agli attuali 315, più i senatori a vita - e cancellazione dell’indennità parlamentare. Si eliminano, altresì, i costi delle elezioni, poiché i senatori saranno eletti dai Consigli regionali. Fin qui, tutto molto bene. Coloro che salgono sulle barricate per un Senato elettivo dovrebbero spiegarmi (e spiegarci) le ragioni di tale difesa, al di là della fideistica adesione al principio democratico.

La riforma del bicameralismo presenta, invece, qualche problema in più. Se s’intende differenziare il Senato dalla Camera le possibilità, in termini estremamente sintetici, sono due: attribuire al Senato una funzione di garanzia, ovverosia di tutela avverso gli abusi della maggioranza politica e del governo, o una funzione di rappresentanza degli interessi regionali e locali. La riforma non aderisce nettamente all’una o all’altra soluzione, creando indubbia complicazione, sebbene il peso è nettamente spostato verso la valorizzazione della funzione di garanzia. In altre parole, il Senato conserva significativi poteri in materia di revisione costituzionale, di bilancio e di procedimento legislativo ordinario, ma, allo stesso tempo, i suoi membri sono eletti fra i consiglieri regionali e il Senato “rappresenta le istituzioni territoriali”, pur senza avere potere di veto sulle questioni regionali e locali. Quindi, sembra esserci un pasticciato tentativo di tenere insieme funzioni profondamente differenti, che equivale a non scegliere, tentativo che non giova certamente alla semplificazione e alla chiarezza del testo. Se a ciò si aggiunge che, con la riforma del Titolo V, le Regioni saranno ridotte a rubber-stamp dello Stato centrale, le contraddizioni si acuiscono ulteriormente.

In questo senso, la scelta più semplice sarebbe assegnare al Senato un’esclusiva funzione di garanzia. All’opposto, la valorizzazione della funzione di rappresentanza degli interessi regionale e locale imporrebbe un significativo ripensamento, rispetto all’attuale proposta di modifica, del Titolo V della Costituzione.

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