Santoro: «Ambiziosi sempre, ma la promozione non sia un assillo»

L’intervista «Nessuno andrà via dalla città, i giocatori abiteranno a Cantù e noi abbiamo sede a Cantù»

Un po’ San Toro e un po’ Sandrokan. Un po’ l’uomo dei sogni e un po’ parafulmine. Insomma, Alessandro Santoro, general manager dell’Acqua S. Bernardo Cantù. Pescato a casa, in Puglia, tra visita parenti e vacanza di famiglia.

Che effetto fa quando si completa una squadra?

È una sensazione di soddisfazione. Ma non completa, perché tutto dipende poi dal campo. Puoi anche immaginarli, roster e chimica, però si possono verificare solo nel momento in cui s’inizia. Di certo, il nostro obiettivo era quello di aumentare carattere e personalità e direi che siamo al livello che volevamo raggiungere. Sempre e solo sulla carta.

Essere ripartiti da uno zoccolo duro sul quale sono state fatte aggiunte importanti quanto conta?

Nella mia convinzione ha sempre rappresentato un vantaggio. Parere, tra l’altro, condiviso da tutto lo staff. Portarsi dietro giocatori che si conoscono e conoscono l’ambiente può costituire un upgrade per loro stessi e per chi arriva. Anche questo, ovviamente, andrà verificato nei fatti. Di certo partiamo con addizioni di qualità tra gli italiani e con gli stranieri ai quali tutti riconoscono una comprovata personalità.

L’affaire Baldi Rossi ha un po’ costituito lo spartiacque del vostro mercato...

Filippo era il mattone sul quale ricostruire tutto il resto. Lo sapevano e, insieme alla conferma di Nikolic, è stata una situazione messa in chiaro e in pratica da subito per il bene della squadra. Tutti abbiamo vacillato, ora lo si può dire. Ma non essere caduti nella tentazione della super offerta di Trapani è stato un atto di forza e di convinzione nel progetto. Poi, di lui mi è piaciuta tantissimo una cosa.

Quale?

Quella che non si è minimamente scomposto davanti alla situazione. Anche Baldi Rossi, come noi, convinto a rinunciare a qualcosa di proprio in cambio di un’occasione, a Cantù, che è molto al di sopra di qualsiasi prezzo. E ciò è stato un punto di partenza eccezionale.

Perché Burns?

Perché è esperto e affidabile e perché in campo può essere molto complementare: giocare, in A2, tranquillamente da cinque, potendo andare anche nel quattro. Ha una struttura fisica che può fare ancora la differenza a questi livelli. È perfettamente integro e in più, di fatto, giocheremo con tre americani, per via del suo status: una cosa che lo rende esclusivo anche rispetto a tanti italiani di A e A2. Giocatore di massima affidabilità da affiancare a due stranieri di indubbia qualità. Un bel mix per cominciare.

Quanto ha contato il rapporto con lei nella chiusura della trattativa?

Il nostro è sempre stato un rapporto di stima e rispetto, condito da un’amicizia vera. Ogni volta che c’è stata un’occasione per lavorare insieme è stata sempre scelta senza esitazione e con il massimo del profitto. Ma, proprio sul lavoro e per via di questo rapporto, i patti sono chiari: niente sconti l’uno all’altro. Deve essere chiaro. L’amicizia agevola le scelte, ma non condiziona la professione.

E quanto ha contato ritrovare Cantù?

Molto, direi. Christian era davanti a una scelta: cercare squadra in A, e sarebbe successo, ma senza la garanzia di essere assoluto protagonista. O venire in una piazza che conosce e che ha nel Dna tutte le caratteristiche di un club di serie maggiore e fare la differenza. Scegliendoci, penso abbia esaudito tutti i suoi desideri.

Berdini è usato sicuro o un ripiego?

Era nella lista. Da sempre. E questo fatto non può mai portarti a essere un ripiego. Chiaro che molto sarebbe dipeso dalle dinamiche del mercato. Gli incastri lo avrebbero potuto portare lontano o tenere qui, come pure da richiesta del tecnico. Le cose sono coincise e gli hanno permesso di restare. Non era l’unico nella lista, ma era tra quelli in cima.

Otto giocatori certi per le rotazioni. Non sono un po’ pochi?

Dovevamo far seguito a ciò che avevano promesso. Detto e fatto, dunque: aprire alla canturinità, dando valore al lavoro del Pgc. Non ci siamo voluti smentire.

Fin qui bene, ma...

Per iniziare, gli otto sono sufficienti. Nella stagione passata, ad esempio, siamo partiti in dieci per poi arrivare a otto. Possiamo anche provare a fare il contrario, a seconda degli eventi e sapendo che siamo sempre vigili sul mercato. Non è un dramma questa situazione. Partire più folti, invece, avrebbe potuto essere un problema.

E il nuovo vice Cagnardi: opportunità o rischio di presenza ingombrante?

Un professionista apprezzato da tutti negli ultimissimi anni e una scelta esclusiva di Sacchetti, il che la dice di gran lunga su quanto potrà darci. Abbiamo fatto nostre tutta una serie di indicazioni che nascevano dalla passata stagione. Fermo restando che il lavoro di chi lo ha preceduto è stato esemplare, c’era bisogno di qualcosa di diverso e lui rappresenta il meglio per noi, ma presumo che anche noi si possa essere il meglio per lui. Avremo un posto nostro per allenarci, nessun condizionamento di orario e massima libertà. Sarà un lavoro non condizionato e quindi penso migliore.

Ecco il punto: Seveso e Desio. Chi ci garantisce che non si perderà la centralità di Cantù?

Nessuno andrà via dalla città, i giocatori abiteranno a Cantù e noi abbiamo sede a Cantù. Si tratta solo di prendere l’auto e farsi venti minuti di viaggio, magari proprio portando a Seveso la bandiera della Pallacanestro Cantù, visto che, dovendo giocare per almeno altri due anni a Desio, potrebbe anche diventare un vantaggio. Pensiamo alle grandi città: venti minuti per gli spostamenti non sono niente.

Obiettivi?

Sono convinto di una cosa. Che più penseremo alla promozione e peggio vivremo. Dovremo avere la forza di vivere giorno dopo giorno, partita dopo partita e gestire la nostra situazione di squadra importante nella maniera migliore. Anche con un po’ di leggerezza. Non ci nascondiamo, questo deve essere chiarissimo, e dovremo essere pronti ad accettare qualsiasi sfida troveremo sul nostro cammino.

Vivendola come?

Sapendo, e ce lo raccontano le ultime due stagioni, che è inutile far programmi così come pensare che qualcuno ci possa regalare qualcosa. Meno nomineremo e meno penseremo alle serie A e più non ci sarà il rischio di esporsi e farsi prendere dall’assillo, che rischia pure di diventare ossessione. Servirà serenità, che sono convinto si possa trasformare in convinzione e coraggio. Le caratteristiche che ci servono.

Le altre?

Sarà un campionato ancora più difficile dei precedenti. Con tante variabili. Ci sarà chi dovrà riconfermarsi, come Forlì, chi vorrà mettere sul piatto le proprie ambizioni, come Udine, chi può far saltare il banco con un mercato faraonico, ed è Trapani che è pure nel nostro girone, e piazze storiche come siamo noi, e mi riferisco a Verona e Trieste, che avranno poca voglia di restare in A2.

Poi?

Poi le outsider, che ci sono sempre. Magari anche quelle che fanno la squadra all’ultimo momento e non per questo non può essere competitiva. Ne vedremo delle belle.

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