Cantù, i due anni di Tic
«L’ora dei magnati è finita»

«Odiai Gerasimenko,pPer ciò che mi riguarda tantissimo, soprattutto per quello che ci ha fatto passare in quei frangenti. Penso di non essere l’unico»

Per i moderati è il Natale di Tic, per i più oltranzisti addirittura una sorta di 25 aprile. Di certo è il giorno zero del ritorno di proprietà della Pallacanestro Cantù ai canturini dopo la gestione dei Gerasimenko. E oggi, addì 18 febbraio, sono due anni. Da rivivere con il protagonista: Angelo Passeri, presidente di Tutti Insieme Cantù e vice del club biancoblù.

Toccò a lei metterci la firma. Cosa ricorda di quel momento?

Tantissime cose. Innanzitutto felicità, perché fu la chiusura di un periodo duro e stressante proprio nel momento pareva che non ce la potessimo fare. E la sensazione fu bellissima. Ma poi anche un mix di paura e timore, per quelle che da lì in avanti sarebbero state le responsabilità collegate.

Un bel carico di pressione...

Fortunatamente, allora come oggi, eravamo circondati da persone serie e responsabili che si impegnarono subito per poi mantenere gli impegni stessi.

Me nei momenti seguenti l’euforia e il bagno di folla notturno non si è mai chiesto: “Chi me l’ha fatto fare”?

Diciamo di sì, calata l’adrenalina che mi fece dormire poco. Però poi ho da subito pensato a cosa fare, a quel punto. Vista anche la grandissima responsabilità, con annessi gli oneri, ma anche l’onore di rappresentare una società che era tornata di proprietà interamente canturina.

Con quale consapevolezza?

Con quella di aver fatto tutto al meglio, senza avere nulla da recriminare. Avevamo messo in campo quanto era nelle nostre reali possibilità per arrivare a un lieto fine.

Che il magnate russo vi fece agognare, e non poco. Ci sveli, due anni dopo, quale fu il punto di svolta?

Lui aveva tentato trattative con altri soggetti, tutte naufragate. A un certo punto era chiaro che la nostra rimanesse l’unica credibile. Ma lo stesso provò un colpo di coda: disse a Davide Marson: “Voi comprate il Pianella e io mi tengo la società”. Davanti al no tassativo di Davide aprì lo spiraglio. Sarebbe stato l’ultimo da giocarci, e così fu.

Sportivamente e con addosso la stoffa del tifoso, quanto ha “odiato” Gerasimenko?

Per ciò che mi riguarda tantissimo, soprattutto per quello che ci ha fatto passare in quei frangenti. Ma penso di non essere l’unico: prendete Antonio Munafò, colui che più di tutti fece da tramite: in più di un’occasione pubblica ha confessato di averlo pesantemente mandato a quel paese. A Dimitry non perdonerò mai il fatto che davanti a un soggetto credibile, l’unico disposto a prendersi in carico i suoi debiti, volesse pure guadagnarci.

E a quel punto, meno male che c’era Tic, sennò tutto questo non sarebbe stato possibile...

Sono convinto. Avevamo alle spalle, essendo partiti nel 2014 in appoggio alla presidenza Cremascoli, uno storico e una base sociale solida. Che aveva dimostrato, soprattutto nei primi anni, di poter garantire anche un ritorno economico. Avevamo l’entità giuridica perfetta e in più eravamo già azionisti della società, quindi credibili. E se anche fosse andata male non sarebbe stata colpa di nessuno, non avremmo fatto rischiare soldi ai nostri soci, come al contrario sarebbe potuto accadere a qualche imprenditore deciso a rischiare in prima persona.

Eccoci al presente.

Ci tolga subito un dubbio: dov’è finita Tic?

Convinti che tornerà a fare quello da cui siamo partiti appena finirà la pandemia, oggi amministra e gestisce la Pallacanestro Cantù, e penso che non sia una cosa di poco conto. Tra l’altro lo fa attraverso suoi rappresentanti. Pensate, nel cda del club ci siamo io, Andrea Mauri, Roberto Allievi e Sergio Paparelli, a nostra volta nel board o soci di Tic. Direi che possiamo ben rappresentare i voleri della base.

Quanta acqua è passata sotto i ponti dal quel 18 febbraio a ora?

Tanta. Però siamo riusciti a mettere in pratica quello che avevamo in testa, rispettando programmi e scadenze, anche nel mezzo del periodo pandemico. Ci siamo riusciti andando avanti per gradi, uno step alla volta. Cominciando dalla vendita del palazzetto a Marson: a due giorni dalle scadenze della rata Fip e della regolarizzazione degli stipendi per il controllo Comtec fu la prima dose di ossigeno per guardare al futuro.

E adesso?

Ora, passo dopo passo, stiamo dando certezze alla stagione, così come accadde due anni fa, e stiamo portando a termine la ristrutturazione del debito ereditato da Gerasimenko. Un’operazione possibile grazie alla comprensione dei nostri creditori, che si sono messi una mano sul cuore. E li ringraziamo.

Ma ora siete una società seria e credibile...

Grazie anche al ritorno di Luca Rossini e Daniele Della Fiori e alla stabilizzazione di chi c’era già e ha lottato nei momenti bui. E poi per l’enorme lavoro di Andrea Mauri, che è riuscito a riportare alla base sponsor che si erano allontanati durante la gestione russa, affiancandone di nuovi e importanti.

Ora siete quel modello riconosciuto anche da Federazione e Legabasket...

Direi di sì. Non c’è più un socio di maggioranza, ma ora si vive con ciò che siamo in grado di generare da noi. Essere un riferimento per gli altri costituisce un motivo di vanto. La nostra è sempre più una visione aziendalistica, dovremo andare in questa direzione, scollegandoci dalla dipendenza di una singola persona.

Un taglio netto con il passato?

Sono cambiate le condizioni. Adesso abbiamo la certezza che il giochino di passare per il proprietario facoltoso o il magnate di turno può durare solo qualche stagione. Non starebbero più in piedi i modelli della proprietà di famiglia, dagli Allievi ai Cremascoli e dai Polti ai Corrado, figurarsi il piano Gerasimenko...

Così si sente più tranquillo.

Assolutamente sì. E lo capisco dalla reazione della nostra base, che subito si mobilitò, scelse di rinunciare alla disdetta dell’adesione e andò dritta avanti, sempre lavorando. Addirittura raccogliemmo donazioni private, con intere famiglie che si impegnarono per 5, 6 o 7 mila euro o singoli che arrivarono a darcene 20 mila pur di garantire la minima amministrazione del momento. Ora questo entusiasmo è forse un po’ scemato, ma penso sia per via del momento. Quando potremo tornare a fare qualcosa, sarà tutt’altra roba.

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