Ballerini dalla Svizzera
«Il lockdown? In sella»

«Sì, ma io da dicembre abito in ticino, a Vacallo. Qui il lockdown è stato più blando, e ho potuto allenarmi praticamente sempre»

Dove eravamo rimasti? Con Davide Ballerini, canturino di 26 anni, il miglior professionista del ciclismo comasco, passato dalla Astana alla Deceunick-Quick Step. Anche un po’ improvvisamente, nel senso che solo dopo un anno nello squadrone celeste, aveva cambiato team. Ma per un motivo ben preciso: abbracciare una squadra che poteva disegnare per lui un programma cucito su misura attorno alle caratteristiche del corridore lariano. Cioè più classiche del Nord, ad esempio, e meno Grandi Giri con rampe da scalatore. Si apprestava ad affrontare, Roubaix, Liegi. Gand Wevelgem con buone chance di fare bene. Di esplodere definitivamente, dopo la conquista dell’oro ai Giochi europei dell’anno scorso. Invece la pandemia ha bloccato tutto. O quasi. Non certo la sua voglia di allenarsi.

Come è andato iockdown, Davide?

«Beh, compatibilmente con le circostanze, per me non malissimo. Ho potuto allenarmi tutti i giorni».

Ma come: molti tuoi colleghi sono impazziti sui rulli, nella fase in cui era vietato persino uscire di casa...

«Sì, ma io da dicembre abito in ticino, a Vacallo. Qui il lockdown è stato più blando, e ho potuto allenarmi praticamente sempre».

In Svizzera?

«Sì, mio fratello abita in Ticino da da tanto tempo. L’ho raggiunto...»

E poi certo non ti sentirai solo: un sacco di tuoi colleghi italiani abitano lì.

«Ah, certo. Bettiol, Pozzovivo, Cataldo, Zaniolo, Gasparotto, Aru, Ulissi, poi certo Nibali... Siamo un bel gruppo. Infatti spesso siamo usciti assieme, una volta con uno, una volta con l’altro».

Quali sono le strade che prediligi?

«La salita del Generoso e la salita di Carona, salendo da Melide, sono quelle che faccio più spesso, poi qualche volta la Val di Muggio. Alcune altre strade come il giro del Ceresio oppure la Val Mara non potevo farle perché c’era di mezzo il confine con l’Italia. Ma adesso si riapre tutto».

La Svizzera è un bel paradiso per i ciclisti: oltre Gottardo ci sono il Neufenen, il Furka, il Grimsel, l’Oberalp...

Non hai che l’imbarazzo della scelta.

«Calma, calma. A parte che non sono mica uno scalatore, comunque sono zone lontane da casa, dovrei andarci in macchina. E poi abbiamo programmi specifici di allenamento,con ripetute e giorni dedicati a potenza o a programmi mirati. Quando scegli la tua zona, poi è inutile cambiare».

Cosa ti ha colpito della Svizzera?

«Il rispetto per i ciclisti. In Italia dovrebbero imparare. Qui ti considerano, lasciano lo spazio vitale, e quando sono in giro per allenarmi spesso trovo sorrisi e incitamenti anche da semplici passanti. In Italia invece c’è una caccia al ciclista e non è raro trovare insulti e improperi».

Che fai nel tempo libero?

«Non sono uscito molto. Ogni tanto una birretta con gli amici. Una birretta alla settimana ci sta, dai...»

La nuova squadra?

«Ho cambiato perché qui c’è un programma adatto alle mie caratteristiche. Le mie corse sono le classiche del Nord, e qui c’è un meccanismo messo a punto per dare il meglio. Peccato che è saltato tutto. Ma ci sarà un’altra occasione».

Il 2019 che anno è stato?

«Sono soddisfatto. Ero in una delle squadre più importanti e ho vinto i Giochi Europei. Una bella soddisfazione. Mi spiace solo non aver regalato una gioia all’Astana. Ma è stato bello comunque».

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