Ballerini e il Tour
«Le mie vittorie con Cav»

«Quando entri alla Deceuninck trovi una unità di intenti che ti spinge a dare più del massimo e a sentirti parte di una squadra come una persona unica»

Una settimana di vacanza in Sardegna per sciogliere la fatica del Tour de France. Sette giorni senza bici, prima di ricominciare a prepararsi per il prossimi impegni. Davide Ballerini si è riposato al sole, ripensando al suo Tour de France non banale. Vagone del treno della Deceuninck che doveva aiutare Mark Cavendish a vincere le volate. Cavendish era stato iscritto all’ultimo momento al posto di Bennett. Un re delle volate sostituito da un vecchio leone, ex campione del mondo degli sprint. Per motivi anagrafici e per il fatto che “Cav” era stato chiamato all’ultimo momento, nè l’ex iridato inglese, nè la squadra si aspettava più di tanto. L’obiettivo era vincere una volata, almeno. Risultato: quattro vittorie, l’emozione in lacrime dell’inglese tornato al top dopo un periodo buio (si parlava di depressione), e il record di 34 vittorie di tappa al Tour de France di Eddie Merckx eguagliato. Una pagina di storia scritta e celebrata da tv e giornali, in cui il canturino Davide ha avuto un ruolo importante. La macchina perfetta della Deceuninck per portare l’inglese al traguardo, lo vedeva come penultimo uomo, prima di Morkov, a lanciare Cavendish. Un lavoro di squadra. E l’inglese più volte lo ha sottolineato, andando ad abbracciare Ballerini urlando in diretta tv «Abbiamo fatto la storia».

Davide, hai fatto la storia?

La storia l’ha scritta lui, ci mancherebbe. Fenomenale.

Però un pezzettino è anche tua.

Un pezzettino è della squadra perché era tutto molto organizzato e perché c’è uno spirito di coesione tra di noi davvero speciale. Non è solo tattica o il fatto di studiare a tavolino le mosse. Quando entri alla Deceuninck trovi una unità di intenti che ti spinge a dare più del massimo e a sentirti parte di una squadra come fosse una persona unica. Tutti per uno e uno per tutti.

E Cavendish lo ha sottolineato più volte. Lo si sentiva netto e chiaro dai microfoni della diretta tv quando veniva ad abbracciare i compagni. Nei tuoi confronti specialmente, con quell’abbraccio fortissimo il giorno della vittoria numero 34.

Quando vinceva lui, era come se lo facessimo tutti. Infatti avrete notato che esultavamo tutti quando tagliavamo il traguardo. Lui è stato sempre molto carino nel riconoscere i nostri meriti. Anche lui, oltre a beneficiarne, ha sentito lo spirito di gruppo.

Ci spieghi come funziona?

Il primo uomo del treno deve portare il convoglio a 800 metri, io ero il penultimo e lo portavo sino a 350 e poi tocca a Morkov aprire la via prima del suo colpo di reni.

Vi parlate durante questa azione?

No, c’è tanto rumore, la gente sulla strada, tu che stai producendo il massimo sforzo e anche le urla dei corridori nell’azione finale... È tutto studiato a tavolino. Ci parliamo invece nei chilometri che precedono la volata, quelli importanti che consentono di arrivare in testa al gruppo. Allora lì comunichiamo per capire dove sono i colleghi, se va tutto bene se qualcuno è rimasto indietro.

Non vi aspettavate nemmeno voi un Cavendish così.

Forse non se lo aspettava nemmeno lui. Un grande. E un personaggio speciale. Non è banale stare in squadra con uno come lui.

E la sera, in hotel, avete celebrato...

La sera non ci sono tante energie. Un brindisi, un discorsetto e poi a nanna.

Sei soddisfatto del tuo Tour?

In una delle volate vincenti di Cav, ho fatto un piccolo capolavoro, una delle volate più belle che ho fatto in carriera. Sì, sono soddisfatto.

E una volata hai rischiato di vincerla, quella della quarta tappa vinta da Merlier.

Lì era successo di tutto, tante cadute e anche Mark era rimasto rallentato. Quando ho capito che non c’era, ci ho provato io, ma è stata una volata strana, Ewan e Sagan sono caduti davanti a me, si è spezzato anche il gruppetto che andava alla volata. Se vuoi saperlo, sul traguardo ero più contento di non essere caduto che rammaricato per il quarto posto.

Si è parlato tanto delle cadute al Tour. Tante. Troppe. Secondo te quali sono le ragioni? La conformazione delle strade, la vostra velocità sempre maggiore, il nervosismo...

Secondo me dipende dal fatto che, specie quando ci sono strade strette anche a 20-30 km dall’arrivo, è sempre più importante essere in testa al gruppo, specie per le squadre degli uomini che contano. Perché poi basta una scivolata in mezzo che devi frenare, ti stacchi e non rientri più. In quel frangente, anche se mancano un po’ di km. c’è nervosismo, si fa a spallate, il ritmo è alto e la collisione è sempre dietro l’angolo.

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