Cultura e Spettacoli
Venerdì 20 Febbraio 2009
Lizzani: "Pertini mi scrisse
che al duce non sparò Audisio"
Il regista di "Mussolini, ultimo atto", girato sul lago di Como, rievoca aneddoti legati al film e ricorda una lettera dell'ex presidente della Repubblica
di Bernardino Marinoni
«E poi non fu Audisio a eseguire la "sentenza"; ma questo non si deve dire oggi». La riga è tra parentesi, ma la lettera è di Sandro Pertini e il regista Carlo Lizzani, che ne fu destinatario, la pubblica nel capitolo dedicato al suo "Mussolini, ultimo atto" (1974) dell’autobiografico "Il mio lungo viaggio nel secolo breve" (Einaudi) consapevole che il documento «getta una luce nuova sul dibattito - intorno alla morte di Mussolini - che si accese ai vertici del Comitato di liberazione nazionale e che portò alla fucilazione immediata».
«Sostenni - si legge nella lettera di Pertini - che Mussolini doveva essere fucilato e lo sostenni con la fermezza e il calore del mio temperamento, Parlarono a sostegno della mia proposta Longo, Sereni, Valiani (…)». Al futuro capo dello Stato il film era stato proiettato privatamente, tra l’omaggio e il dovere, poiché la figura di Pertini è tra quelle che vi compaiono, come altri, allora ancora viventi, con buona approssimazione somatica. Un personaggio, riconosce Lizzani, rappresentato con impetuosità inadeguata a quella che "tutti ricordano" e che l’interessato «non ha mai nascosto». Per questo amichevolmente protestò: «Durante quelle caldissime giornate mi fu rimproverata una eccessiva intransigenza. Nel film, se c’è un personaggio "moscio" sono io!»; con questo difese "Mussolini, ultimo atto" all’interno di un dibattito che non poteva non accendersi: per la prima volta il cinema, attraverso i fatti di Dongo, affrontava un momento cruciale delle vicende nazionali e, dopo trent’anni, la questione era tutt’altro che sopita. Il film comincia il 24 aprile 1945, quando Mussolini s’incontra in Arcivescovado, a Milano, con il cardinale Schuster e i rappresentanti del Cln, quindi segue la scomposta fuga sul Lario del duce fino alla sua cattura a Dongo e alla raffica di mitra che conclude la storia del dittatore insieme a quella di Claretta Petacci, tacendo, e gli fu già all’epoca rimproverato, l’appendice di piazzale Loreto, il dato storico che sarebbe stata la migliore espressione della ferocia coeva. Ma per il resto "Mussolini, ultimo atto" prova a metter ordine nel passato, attento ai documenti e alle testimonianze. Per quanto alla richiesta di informazioni su chi avesse veramente sparato, il commissario politico Moretti avesse «sempre eluso una risposta chiara» Lizzani pensa, e lo scrive, «che sia stato lui a premere il grilletto di quel mitra». E Moretti, ricorda il regista, a fine lavorazione gli «regalò il facsimile di una tessera di appartenenza alla 52. Brigata Garibaldi». Con scritto il nome di Carlo Lizzani.
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