Cultura e Spettacoli
Mercoledì 05 Novembre 2008
Pio XI e l'ombra del fascismo:
dal consenso all'opposizione
La mostra alla Fondazione Ratti di Como, dedicata all'imprenditore serico Guido Ravasi, in cui è esposto un piviale del Pontefice, prestato dal Vaticano, anima il dibattito sul ruolo che il Papa ebbe nel fascismo. Ospitiamo un articolo dell'ex senatore Dc Luciano Forni
La mostra che Como dedica all’imprenditore serico Guido Ravasi propone al pubblico il piviale di Pio XI (Desio, 1857-Città del Vaticano, 1939). È l’occasione per ripensare la figura di Papa Ratti, lombardo, criticato per essere "vicino" al fascismo. Ne scrive Luciano Forni, ex senatore della Dc. Pio XI era molto legato al Comasco: trascorse, infatti, la fanciullezza ad Asso, di cui era anche "cittadino onorario". La madre è sepolta a Griante.
di Luciano Forni
È noto che Pio XI concluse con i Patti Lateranensi e il concordato fra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica firmati l’11 febbraio 1929, un lungo periodo di trattative per vincere lo strappo dell’abolizione del potere temporale, avvenuta con la conquista di Roma, il 20 settembre 1870 da parte dell’esercito italiano. I cattolici italiani, in grandissima parte, tiravano un sospiro di sollievo e l’avvenimento servì ad accrescere il consenso nei confronti di Benito Mussolini che aveva firmato i patti e del suo regime. Ben presto Pio XI dovette però accorgersi che la pax religiosa veniva intesa dal Fascismo come mezzo per ridurre l’opera della Chiesa, in uno spazio esclusivamente religioso, togliendole qualsiasi possibilità di svolgere un’azione educativa specie verso i giovani, nelle organizzazioni laicali, come l’Azione Cattolica, che il Papa considerava «ut pupilla oculi». Per la chiusura dei circoli dell’azione Cattolica di fu grande tensione fra S. Sede e Governo con il pericolo di strappare il Concordato. Tutto si chiude con un compromesso non da tutti gradito, nel mondo cattolico, che limitava alla sfera spirituale l’opera educativa dei circoli cattolici, nei quali i popolari sturziani non potevano assumere responsabilità. In Achille Ratti da allora aumentò la convinzione che il fascismo minasse la libertà religiosa e le sue perplessità aumentarono man mano che Mussolini si legava al nazismo di Hitler. Sono stati pubblicati due libri, in questi ultimi anni, che documentano in modo chiaro l’evolversi del pensiero del Papa.
Il primo "Pio XI" di Yves Chiron ed. Paoline 2006, l’altro di Emma Fattorini dal titolo: "Pio XI, Hitler, Mussolini: la solitudine di un Papa" Edizioni Einaudi, frutto quest’ultimo della consultazione dell’Archivio Segreto Vaticano per il periodo 1930-1940.
Un fatto singolare fece riflettere Papa Ratti: nell’aprile del 1933 anno santo della Redenzione, a meno di tre mesi dall’evento al potere di Hitler in Germania, Edith Stein, ebrea, professoressa di Filosofia convertita al Cattolicesimo e poi suora Carmelitana con il nome di Teresa Benedetta della Croce, scrisse una lettera commovente al Papa, per pregarlo di assumere un atteggiamento fermo contro il nazismo.
Queste le parole conclusive: «La guerra contro il cattolicesimo si svolge in sordina e con sistemi meno brutali che contro il giudaismo, ma non meno sistematicamente».
Lo scritto colpì profondamente il Papa, anche se nei documenti non si trova una sua risposta. Questa venne senza dubbio con l’Enciclica in lingua tedesca "Mit Bremender Sorge" pubblicata il 14 marzo 1937, in cui veniva condannato il nazismo e le sue radici anticristiane. Fu quasi un prodigio che nella domenica delle Palme di quell’anno l’enciclica fosse letta in tutte le chiese tedesche, cogliendo di sorpresa gli efficientissimi Servizi segreti di Hitler che andò su tutte le furie.
Successivamente, in occasione della visita a Roma dal 3 al 9 maggio 1938 di Hitler, che consolidava così la sua alleanza con Mussolini, il Papa non solo si rifiutò di ricevere il Führer, ma ordinò che il Vaticano, in una città sfavillante di luci, restasse al buio e i suoi musei rimanessero chiusi. Poi ostentatamente lasciò Roma per Castel Gandolfo dove - scrisse l’Osservatore Romano - respira aria migliore. Durante il soggiorno al Castello, nelle udienze pubbliche il Papa inasprì sempre più la sua avversione contro il nazismo e le leggi razziali ed incaricò il gesuita americano John Lafarge di preparare il testo di un’enciclica contro l’antisemitismo, che estendesse la portata della "Mit Bremender Sorge", già citata.
Il gesuita consegnò il 1 ottobre 1938 il testo dell’enciclica elaborata con altri esperti al Preposto Generale della Compagnia di Gesù. Questa venne trattenuta e, solo a seguito di richieste pressanti del Papa gli fu consegnata il 21 gennaio 1939, venti giorni prima della sua morte. Fu un vero e proprio boicottaggio contro il Pontefice, deciso a combattere contro l’antisemitismo. Quando anche l’Italia approvò le leggi razziali nell’udienza del 6 settembre 1938 il Papa dichiarò: «L’antisemitismo è inammissibile; spiritualmente siamo tutti semiti». Era la risposta, a distanza di tempo a Edith Stein, che troverà la morte in un campo di sterminio nazista. Ricevendo poi il 28 ottobre successivo il gesuita Padre Tacchi Venturi, che era il tramite fra il Vaticano e Mussolini e che faceva balenare il pericolo della rottura del Concordato, a causa della dura posizione papale, Achille Ratti sbottò con forza: «Ma io mi vergogno di essere italiano. E lei padre lo dica pure a Mussolini. Io, non come Papa, ma come italiano, mi vergogno. Il popolo italiano è diventato un branco di pecore stupide. Io parlerò, non avrò paura. Mi preme il Concordato, ma più mi preme la coscienza». Siamo all’apice del Fascismo e il coraggio di Achille Ratti fu eccezionale. Quel "parlerò" doveva concretizzarsi l’11 febbraio 1939, nella solenne ricorrenza del 10° anniversario del Concordato per il quale erano stati convocati tutti i vescovi italiani.
Achille Ratti, però morì nella notte precedente 10 febbraio. Il discorso scritto di suo pugno nella notte dal 31 gennaio al 1° febbraio, fu tenuto segreto e distrutto. Prima di morire volle ricevere il duca Tommaso Gallarati Scotti, diplomatico, con villa a Bellagio e a lui esternò la sua preoccupazione per gli Ebrei, per il destino dei popoli italiano e tedesco e per la Chiesa, descrivendo le sconfitte subite dai governanti delle grandi potenze e la loro fine. Tommaso Gallarati Scotti commentò: «Ascoltavo, quasi impaurito, le meditazioni di un Papa, che rivedeva il destino dei superbi, nella luce crepuscolare delle sue ultime ore». Fu una profezia per la fine ingloriosa e tragica di Mussolini e di Hitler? Dopo la morte di Pio XI le potenze democratiche riconobbero le sue grandi doti di coraggio e di coerenza; i nazisti e i fascisti accolsero con sollievo la fine di un franco oppositore e, anche in Vaticano, si trovò modo di alleggerire la situazione di rottura con i regimi, attraverso un’opposizione più diplomatica.
Se si fosse seguita la linea dura del vecchio pontefice, dallo schietto carattere lombardo, si sarebbe forse evitato qualche giudizio pesante della storia. Con i "se" non si va molto lontano; la storia di un piviale però può aiutare a precisare i fatti di un’epoca terribile.
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