Como, piazza Volta
il dito e la Luna

“Non è bello ciò che è bello, ma che bello che bello”. Uno dei motti paradossali che contribuì alle fortune di Nino Frassica, si può riadattare, ma al contrario, sostituendo la parola “bello” con il termine “brutto”, al dibattito su piazza Volta a Como. Dove, peraltro, si ha l’impressione che i più guardino il dito e non la Luna. Il dito sono le panchine. Ribattezzate “bare” dal giorno in cui sono state collocate, hanno trovato ancora la ribalta della cronaca per l’iniziativa del titolare di uno dei bar della zona che le ha ricoperte con cuscini di colore rosso per celare i danni provocati per lo più da atti vandalici.

L’assessore all’Urbanistica, Marco Butti, ha annunciato la prossima sostituzione dei manufatti perché “brutti”. Per quello ha ragione Nino Frassica, che con le sue parole ci ricorda che l’avvenenza e il suo contrario sono soggettivi. In ciò che qualcuno trova orripilante, magari un altro può individuare un’armonia. Ecco perché ogni volta appare qualcosa di nuovo in città, ci si divide tra estimatori e detrattori. L’esempio più eclatante degli ultimi anni è il monumento di Libeskind collocato in fondo alla diga foranea e, invero, piuttosto apprezzato da turisti e gitanti del fine settimana. Eppure fu contestato non poco.

Guardare il dito e non la Luna, non ce ne voglia l’assessore Butti, significa pensare che basti sostituire le panchine brutte con altre più attraenti (a giudizio di chi poi?) per preservarle da atti di vandalismo. Se la bellezza potesse fermare i vandali saremmo a posto, quante devastazioni ci saremmo risparmiate.

La luna è invece la piazza stessa. Chi ha un po’ di memoria la ricorderà come un luogo tranquillo e poco frequentato, anche perché non molto attrattiva e circondata dal traffico dei veicoli, fino a quando l’amministrazione di centrosinistra guidata da Mario Lucini non decide la pedonalizzazione dell’attigua via Garibaldi. Una scelta che influì anche sullo spazio dedicato all’inventore della pila. L’area, punteggiata di locali per il consumo di cibi e bevande, divenne di colpo frequentata di giorno e anche di sera con parecchie controindicazioni. Non è male rendere vivibile uno spazio nel cuore della città, ma anche questo aspetto deve essere regolato per evitare le degenerazioni. Ci si è messo di mezzo pure il Covid con il conseguente lungo lockdown e le oggettive difficoltà di ristoranti e bar a lungo chiusi o con aperture limitate. Da qui la decisione, sacrosanta, di favorire la collocazione di tavolini all’aperto anche attraverso l’ampliamento degli spazi pubblici disponibili. Forse in piazza Volta si è un tantino esagerato, tant’è che l’area ha visto stravolte le giuste proporzioni per la fruibilità degli spazi. Oltretutto la possibilità di tornare a consumare al coperto con il Green pass giustifica meno tutti quei tavolini ormai padroni della piazza. Ecco, magari al di là della bruttezza o meno delle panchine “bare” e prima di sostituirle, qualcuno potrebbe avviare una riflessione in questo senso. E magari anche valutare, per questo e altri spazi del centro cittadino, interventi di manutenzione più puntuali ed efficaci. Perché non è che se una cosa è stata fatta da una giunta di un colore politico diverso deve essere lasciata andare in malora. Visto che le risorse impiegate sono quelle dei cittadini tutti, a prescindere dal loro orientamento. La collocazione di quattro vistosi, ingombranti e, quelli sì davvero inguardabili bidoni dell’immondizia fatta per “provocazione” dall’assessore all’Ambiente, Marco Galli, potrebbe contribuire a porre l’attenzione sul problema. Peccato che a risolverlo dovrebbe essere un altro componente della medesima giunta. Purtroppo, per Como, la capacità limitata di questa amministrazione di andare oltre la contingenza spicciola, sta facendo pagare un prezzo alla città. E non solo per quanto riguarda il problema di piazza Volta.

Per tentare di farsi riconfermare dai comaschi, in questo ultimo anno di governo della città, magari anziché limitarsi a fare campagna elettorale, si potrebbe tentare di cambiare registro. Come diceva il maestro Manzi: non è mai troppo tardi.

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