Il circo è finito:
torniamo seri

Va bene che siamo italiani, ma c’è un limite anche al coprirsi di ridicolo. Perché non la piantiamo? Perché non la smettiamo? Perché, soprattutto, non ci vergogniamo? Perché non la finiamo di piagnucolare, di frignare, di singhiozzare e usciamo finalmente e una volta per tutte dalle case nelle quali ci siamo rintanati come tanti patetici e grotteschi conigli mannari?

Il disastro non è il Coronavirus. Il disastro siamo noi. Noi. Tutti quanti noi. È inutile giocare, come sempre, allo scaricabarile della Colpa sugli altri, rimestando la solita solfa che rappresenta il nostro vero inno nazionale: e lo Stato dov’è? e il governo dov’è? e la Regione dov’è? e il virologo servo delle multinazionali dov’è? Perché non sta lì il problema. Ora, nessuno vuole sottovalutare le performance cabarettistiche del premier, del presidente della Lombardia e del lider maximo dell’opposizione, capaci di passare dal “tutto sotto controllo!” al “moriremo tutti!” e viceversa nel giro di due giorni, anche perché ormai ci siamo abituati. Ma scusate, che differenza c’è con le altre crisi che hanno preceduto questa? E come sarebbero andate le cose a parti invertite, con uno scambio di ruolo tra maggioranza e opposizione? Sarebbe andata alla stessa identica maniera, diciamoci la verità, perché questo è il livello - generalmente infimo - delle nostre classi dirigenti.

E allora la vera differenza avremmo dovuto farla noi. Noi con la nostra intelligenza. Noi con la nostra cultura. Noi con il nostro buonsenso. Noi con questa nuova e oggettivamente prodigiosa possibilità di accedere a tutte le fonti informative del creato, visto che, al di là di giornali e televisioni, qualsiasi contenuto scientifico certificato di qualità è reperibile - gratuitamente! - sulla rete. E quindi, grazie a questo miracolo tecnologico, avremmo dovuto capire facilmente che non esiste alcuna peste bubbonica che flagella il Belpaese, che non esiste alcun pericolo di estinzione dell’umanità (purtroppo??), che il sole sorgerà anche domani sulle nostre miserie e sui nostri destini portati dal vento come polvere di caolino e che, di conseguenza, era del tutto inutile farsi prendere dal panico, svuotare i supermercati di olio, biscotti, lenticchie e acqua minerale e seppellirsi in casa come dentro un rifugio antiatomico. L’unica cosa da fare era seguire le semplicissime indicazioni dei medici - lavarsi spesso e bene le mani, innanzitutto: troppo complicato? - e piantarla lì. E invece, come facilmente prevedibile, è successo esattamente il contrario.

Morale: pochi contagiati, pochissimi morti (tra l’altro, purtroppo per loro, tutti già affetti da gravi patologie) e in compenso economia in ginocchio e migliaia di posti di lavoro a rischio. E questo è quanto. Siamo contenti? Siamo soddisfatti? Ci sentiamo al sicuro con le nostre scorte di dodici chili di tortiglioni in dispensa, i nostri ettolitri di Amuchina strappati al mercato nero, che poi il caro vecchio sapone è meglio, e le nostre casse di mascherine, che tanto ci insegna Fontana come si mettono? Siamo orgogliosi di esserci comportati come dei bambini? Come degli sprovveduti? Come degli scappati di casa che non sanno distinguere una cosa seria da una grave e una grave da una irrimediabile? Come dei poveretti completamente privi del senso delle proporzioni e, soprattutto, del ridicolo? Ma che insegnamento abbiamo trasmesso in questi giorni ai nostri figli? È tutta qui la nostra ostentata superiorità antropologica rispetto al resto dell’universo mondo? Duemila anni di civiltà per poi vedere gente di cinquant’anni diplomata e laureata e superskillata che va in crisi di nervi appena vede trentasette e mezzo sul termometro mentre ci sono migliaia di malati terminali che moriranno di certo nelle prossime settimane nell’indifferenza più assoluta, visto che qui se non hai il Coronavirus - nuovo status symbol della patologia contemporanea - sei un malato di serie C. E questa sì che è una roba veramente, ma veramente vergognosa.

Cerchiamo di recuperare tutti quanti il senso della realtà. Ora e qui, nelle nostre città, nei nostri quartieri, nelle nostre terre. Torniamo a vivere. Andiamo al bar, al ristorante, al pub. Riprendiamo a consumare, a goderci i weekend, a prenotare le vacanze. Rimandiamo - appena ci sarà consentito - i nostri bambini all’asilo, i nostri ragazzi a scuola, all’università, a fare sport e a vedere le partite. I paesi muoiono non di Coronavirus, ma di stupidità, di infantilismo e di vigliaccheria. Basta avere paura: usciamo tutti quanti di casa, per favore.

@DiegoMinonzio

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