Il paradosso dei sindaci impopolari poi rimpianti

Chi ha letto la bella intervista sul nostro quotidiano di Stefano Ferrari a Lorenzo Spallino che parla del padre Antonio (i pochi che non l’hanno fatto, la recuperino, vale la pena), avrà compreso come il sindaco più amato e rimpianto dai comaschi (dopo) sia stato molto impopolare per le sue scelte (prima). Su tutte la storica pedonalizzazione del centro storico, osteggiata dai commercianti, ma anche da forze politiche di destra e sinistra.

Però pure i vincoli urbanistici della Città murata e le modifiche al Piano regolatore che prevedeva una città da un milione di abitanti con conseguente cementificazione della Spina Verde ecc…(chi scrive ha avuto modo di prendere visione delle mappe) che avrebbe pregiudicato il futuro turistico di Como, andavano a cozzare con interessi importanti. E non escluso, anche se mancano le prove, che la mancata e clamorosa ricandidatura del 1985 possa essere stata determinata da queste scelte. Eppure, appunto, a distanza di circa quarant’anni, Spallino continua e essere ricordato e rimpianto, come nessun altro dei suoi numerosi successori,

Chiaro che il paragone sia imbarazzante, oltretutto siamo su epoche storiche diverse e tutto è cambiato nel modo di fare politica, comunicarla e amministrare le città. Ma anche l’attuale primo cittadino del nostro capoluogo, Alessandro Rapinese, si sta segnalando per scelte impopolari e contestate che hanno spinto una forza di opposizione che non è peraltro lontanissima da lui in termini di cultura politica (caso mai pesano questioni personali) quale FdI, a innescare la campagna con tanto di gazebo e striscioni, sul “sindaco contro la città e i cittadini”.

Il paragone apparirà ancora lunare, ma il clima sembra proprio quello degli anni della chiusura al traffico delle vie del centro. Rapinese si sta rendendo poco amato per vari aspetti. Su tutti lo zelo trasmesso alla polizia locale che non risparmia nessuno per le multe alle auto parcheggiate in maniera irregolare. Poi c’è la questione della chiusura di alcuni nidi, infine gli aumenti dei parcheggi che non dovrebbero toccare i comaschi, anche se il provvedimento non c’è ancora, ed è perciò difficile immaginare che possano essere considerati contro i “cittadini”. Caso mai andrebbero valutati interventi a favore di coloro che dai Comuni limitrofi calano nel capoluogo per ragioni di studio, lavoro o accesso ai servizi. Ma certo non può spaventare un posto auto in centro anche a tre euro all’ora per chi è disposto, in quanto turista e magari straniero perciò abituato a certi costi, a pagare 20 euro una pizza margherita o 18 un’insalata (queste potrebbero essere azioni contro i comaschi, caso mai).

Ai posteri perciò la sentenza su Rapinese, che magari tra vent’anni sarà ricordato a colpi di slogan con il celebre “arridatece”. Di certo la differenza tra l’attuale inquilino e il suo predecessore avvocato, al di là dei risultati ottenuti nella comune pratica della scherma e dell’agrodolce curiosità di essere Alfa e Omega dell’ex Ticosa, è la propensione al dialogo. Perché Antonio Spallino, pur decisionista come pochi altri arrivati dopo di lui a cingere la fascia tricolore, si apriva con tutti per spiegare le proprie scelte, ascoltare consigli che metteva in pratica se li riteneva utili. Anche rispetto agli avversari politici. Proprio grazie al clima di collaborazione nel rispetto dei ruoli, instaurato da Spallino è stata possibile la realizzazione di opere fondamentali ancora oggi come l’Acquedotto industriale, la Comodepur, il nuovo Setificio e altri. Perché è vero che l’avvocato camminava con la testa bassa per vedere irregolarità nel selciato e avvertire gli stradini comunali ed era perciò attento come Rapinese, alle piccole cose dell’amministrazione, ma sapeva anche pensare e progettare in grande la città. E poi si circondava di collaboratore di prim’ordine, su tutti il “mitico” ragionier Tagliaferri, capo di gabinetto a palazzo Cernezzi, e non di pavidi e afoni yesman.

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