Lady Barbara nel castello
(in aria) del Pd

Un verso di una canzone degli anni ’70 recitava: “Lady Barbara tu sei. Forse amarti non dovrei

Ma il mio cuore sai, non vive senza te”. La cantava un certo Renato dei Profeti che doveva essere davvero tale se quasi cinquant’anni prima aveva previsto il travaglio del Pd di Como di fronte alla proposta di candidatura a sindaco di Barbara Minghetti, anima del teatro Sociale.

In un quadro politico già in parte chiaro con Azione, Più Europa e Italia Viva favorevoli all’idea di lanciare lady Barbara come portabandiera dell’alleanza di centrosinistra, così come, ovviamente, gli esponenti di Svolta Civica, la lista che ha portato la manager culturale in consiglio e i dubbi di Bruno Magatti e della sua Civitas, ma non di tutta la cosiddetta sinistra radicale comasca, rimane il Pd che, come sempre, ha servito la specialità della casa: le divisioni interne.

C’è chi, infatti, preferirebbe provare a correre con Adria Bartolich, ex parlamentare e sindacalista della Cisl, apprezzata anche da Magatti. Quest’ultima, al momento, non sembra intenzionata a raccogliere l’invito del segretario provinciale Dem, a lavorare in squadra con Minghetti e attende di capire come andrà a finire. Lady Barbara, forte del suo indubbio prestigio e dell’estraneità alle alchimie della politica, avrebbe fatto trapelare di non essere disposta ad attendere più di tanto sfogliando i petali della margherita prigioniera nel castello (molto in aria) del Pd. O la si ama, ovviamente in senso politico, anche se magari non si dovrebbe secondo qualcuno, come recita la canzone di Renato dei Profeti, oppure amici come prima. Di certo l’eventuale ticket con Bartolich potrebbe essere tale solo se la candidata sindaco fosse Minghetti.

I dubbi nel Pd sui sentimenti da manifestare nei confronti di Lady Barbara, nascerebbero anche se non soprattutto dalla sua vicinanza al pensatoio “Officina”, creato dall’imprenditore Paolo De Santis per dare contributi e prospettive programmatiche: insomma provare a riparare i guasti della città di Como. L’associazione verrebbe considerata troppo a destra per poter contribuire a un progetto di centrosinistra. Il fatto che in “Officina” vi siano, tra gli altri, Moritz Mantero e Maurizio Traglio, due candidati sindaco che hanno sfidato rispettivamente Alberto Botta e l’attuale Mario Landriscina, non sembra essere tenuto in considerazione dai critici. A meno che il compianto ex presidente provinciale del Coni e l’attuale primo cittadino siano ritenuti di sinistra.

E neppure si considera come il progetto presentato da “Officina” per l’ex Ticosa sia stato talmente osteggiato dall’amministrazione comunale in carica, da arrivare a contrapporgli, piuttosto che niente, la fumosa ipotesi di trasferire la sede del Municipio nell’ex tintostamperia. Ma tant’è. Certi pregiudizi, figli di una storia che dovrebbe essere finita da tempo, sono duri a morire.

Però, dentro il Pd e non solo, qualcuno farebbe bene a considerare le condizioni in cui ha preso corpo la candidatura di Barbara Minghetti, del tutto simili a parti rovesciate a quelle che hanno determinato la vittoria di Landriscina nel 2017. Prima di uscire a brandelli dal tritacarne di palazzo Cernezzi, anche e soprattutto per colpa sua, l’attuale sindaco era una figura di prestigio nella società civile comasca per la sua valente opera di dirigente medico rianimatore e responsabile del servizio 118. Landriscina fu il “coniglio” estratto a sorpresa dal cilindro del centrodestra prima di tutti e si giovò di questo vantaggio. Così come potrebbe accadere per Barbara Minghetti, un profilo di candidata abbastanza simile a quella di Beppe Sala che ha strappato il Comune di Milano al centrodestra ed è stato riconfermato in carrozza alla guida della città.

A vantaggio del centrosinistra comasco poi, c’è la condizione del campo avversario, non dissimile, in questo caso, da quella che aveva favorito il successo di Mario Lucini nel 2012. Anche allora il centrodestra arrivava da un’esperienza di governo della città, quella del Bruni bis, decisamente disastrosa. E la scelta del candidato sindaco di allora, Laura Bordoli, era avvenuta attraverso primarie che avevano dilaniato l’alleanza, anche oggi piuttosto sfarinata.

Il vizio d’origine del Pd non solo comasco è quello delle due principali culture da cui è nato il partito, quella comunista e quella del cattolicesimo democratico, che non sono riuscite, come aveva pronosticato Emanuele Macaluso, ad armonizzarsi. Ora però più che a culture sembra di trovarsi di fronte a bandiere. Ognuno fa fatica ad ammainare la propria. Un approccio, per quanto riguarda le elezioni comunali a Como, dovrebbe partire su chi dei candidati, anzi delle candidate, è il più adatto per il bene e la rinascita della città.

Dovrebbe far riflettere anche come l’entrata in scena (concedetecelo, arriva dal teatro) di Lady Barbara abbia impresso un’accelerazione nel campo opposto con la richiesta di decidere prima possibile sul candidato da contrapporre, il quale, a oggi, è Stefano Molinari (Fd), ma le cose potrebbero cambiare. L’unica certezza è che il partito di Giorgia Meloni non vorrà replicare la situazione del 2017 quando non aveva nessuno dei tre sindaci dei principali centri della provincia: Como, Erba e Cantù. Considerato che nella Città del Mobile si e poi rivotato e che il primo cittadino è espresso dalla Lega, restano Erba e Como: una delle due dovrà andare, almeno per la candidatura a sindaco, a Fdi. E al momento il capoluogo appare la scelta più probabile.

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