Nel simbolo del Pd è meglio Tafazzi

La domanda delle cento pistole è perché il Pd si ostini a non inserire Tafazzi nel simbolo. Altro che Elly Schlein divisiva, il personaggio creato da Giacomo Poretti che si percuoteva i gioielli di famiglia con una bottiglia non può che mettere d’accordo tutti nel partito più autolesionista della politica italiana. L’ultimo esempio è quello della Basilicata, regione mantenuta dal centrodestra che ha saputo fare il campo largo giusto alleandosi con i renziani, ma, soprattutto con i calendiani locali. Perché tra questi ultimi milita tale Marcello Pittella, ex presidente della Regione eletto all’epoca con il centrosinistra: l’ago della bilancia che ha fatto pendere il consenso dalla parte del forzista Bardi.

Insomma sono stati decisivi i voti di uno che prima stava dall’altra parte, aveva già vinto un’elezione ed è stato lasciato andare via . Tutto questo, poi, con uno straordinario tempismo, nei giorni in cui si consumava una lacerante polemica all’interno del Nazareno sul nome, appunto, della segretaria Schlein nel simbolo da presentare all’elezioni europee.

Un’idea mutuata dal centrodestra che cozzava in maniera evidente contro la storia di un partito, il Pd, che più pluralista non potrebbe essere visto che conta più correnti di un maniero senza finestre. Alla fine dopo aver sfiancato i grafici dem o con il “metti il nome” e “togli il nome”, la stessa leader ha fatto un passo indietro, ammettendo di essere “divisiva”.

E anche questa è una specialità solo del Pd. Quando mai il capo di un’organizzazione che non riesce a imporsi perché divisivo può pretendere di rimanere al suo posto? Dopo questa presa d’atto, dovuta agli strali di un frustrato padre nobile quale Romano Prodi (“nessuno mi ascolta”, ha detto anche a proposito della scelta di Schlein di candidarsi per Strasburgo consapevole del fatto che comunque non ci metterà mai piede, tanto che se ne frega degli elettori?) e di un “mammasantissima” quale Dario Franceschini, peraltro uno dei king maker di Elly, forse sarebbe stato il caso di fare qualche valutazione. A meno che , come sostiene qualcuno, la segretaria non abbia voluto stanare i suoi nemici. Insomma, sotto il cielo tempestoso del Nazareno la confusione più che regnare sovrana, impera. Anche nel perseverare nell’allearsi con i Cinque Stelle di Giuseppe Conte, il quale un giorno sì e l’altro pure sferra il calcio dell’asino alle difficoltà del partito. Visto anche il risultato dei post grillini nella terra del peperone crusco vale davvero la pena insistere su un “campo largo” in cui cresce perlopiù gramigna?

Il segnale che è arrivato dal centro che era parte del centrosinistra e ha deciso, almeno in Lucania, di piantare le tende dall’altra parte, forse non andrebbe fatto cadere. Anche se appare difficile con questa leadership del Pd di poter trattare con calendiani e renziani. Ma come uscire dall’impasse? Magari tracciando una linea politica chiara sui problemi concreti del Paese che certo non mancano. E non occuparsi solo del caso Scurati, anche qui con la contraddizione, evidenziata anche da Marco Travaglio, nell’indignarsi per la censura allo scrittore salvo poi chiederla per la vice direttrice del Tg1 dopo la sua dichiarazione a proposito dell’aborto. Poche idee e pure confuse. È già un miracolo che circa il 20% degli italiani continui a votare per il Pd. O no?

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