Odiare i “ricchi”
è tornato di moda

In uno dei suoi memorabili aforismi, Margaret Thatcher, gigante della politica della seconda metà del Novecento, ha scolpito nella pietra una verità profondissima: oggi nessuno si ricorderebbe del buon samaritano se il buon samaritano avesse avuto solo buoni proponimenti, il buon samaritano aveva anche i soldi.

I soldi. Il guadagno. La ricchezza. Con la ferocia intellettuale figlia del suo mondo e della sua cultura, la grande statista, nel pieno degli anni Ottanta, ha buttato sul tavolo uno degli argomenti più tabù, più indicibili, più intollerabili per il conformismo perbenista del sinistrume anni Settanta. E cioè la contestazione della natura immonda del denaro, il suo essere male in sé, il suo essere figlio del demonio, sterco del diavolo, eredità culturale, in verità, non solo della sinistra più occhiuta, ma anche di tanta parte della sensibilità cattolica. La Thatcher invece, che come tutti i veri leader era destinata ad essere assolutamente divisiva e, quindi, a essere osannata o maledetta, aveva laicizzato la questione, individuando nella ricerca della ricchezza, o comunque del benessere, uno dei motori pulsanti della società. Un motore benefico, perché avrebbe poi riverberato i suoi effetti positivi anche su quelli che erano rimasti indietro. Il buon samaritano, appunto. Si può non essere d’accordo, naturalmente, ma che coraggio, che visione, che premier…

Il tema è tornato alla mente nei giorni scorsi, vista l’eco mediatica sollevata dalla provocazione di una deputata democratica americana, Alexandria Ocasio-Cortez, che ha sfilato sul red carpet del più importante evento mondano di New York indossando un abito-manifesto che aveva stampato - proprio sul lato b, maliziosa metafora - la scritta rosso sangue “Tassate i ricchi”. La stampa ci è andata a nozze, anche perché la Ocasio-Cortez possiede tutte, ma proprio tutte, le caratteristiche per piacere alla gente che piace: è donna, è giovane, è bella, è di origini umili e portoricane, è colta, è stilosa, è carismatica, è ambientalista, è strepitosamente mainstream, insomma, non le manca nulla per ergersi a nuovo paladino delle battaglie progressiste che renderanno di certo il mondo un posto migliore.

Ora, il punto non è tanto vedere quanto pesi un personaggio del genere nelle dinamiche politiche degli Stati Uniti, quanto invece osservare come l’episodio abbia ringalluzzito la culturetta anti liberale che innerva il nostro paesello dall’origine dei tempi. E infatti, come prevedibile, un peana a canali unificati su quanto sia stata coraggiosa e visionaria la Ocasio-Cortez e su quanto la caccia al ricco sia l’elemento centrale di ogni sana politica “de sinistra”. Perché si sa, il ricco - e fate attenzione, in Italia viene considerato ricco e quindi tassato con l’aliquota massima del 43% chiunque superi i 75mila euro lordi l’anno, cioè poco più di tremila euro al mese: uno che guadagna tremila euro sarebbe un ricco, un ricco da spennare, tutto vero - è un porco per definizione, un mascalzone, un farabutto. E pure certamente un ladro, un evasore, uno sfruttatore, un vessatore, senza dimenticare che sarà senz’altro anche un fascista, un razzista, un sessista e tutto quello che volete voi.

Perché, non è forse così in ampissime frange della nostra politica e dei nostri maestri di pensiero che vanno da destra a sinistra, che con il mito del popolo, della gente e delle masse umiliate e offese dai padroni ci hanno giocato tutti quanti in questi anni di pseudoideologia stracciona ad alzo zero, riciclando il peggio delle parole d’ordine pulciose e forforose dei peggio liderini sessantottardi quando organizzavano la rivoluzione al tavolo del biliardo?

Ma è davvero questo il problema del mondo? Ma davvero un tale che ha un’idea, rischia un’impresa basata su quell’idea, trova uno spazio, conquista un mercato, magari dando da lavorare a un sacco di persone - e rispettando tutte le leggi e tutti i contratti, ovviamente - ricavando così un utile importante per sé deve essere comunque un opimo padrone delle ferriere? Ma perché? Perché il talento, la voglia di emergere, di migliorare la propria condizione deve essere considerato un male a prescindere e deve per forza prevedere lo sfruttamento degli altri?

Non sarebbe più intelligente, più utile e, soprattutto, più onesto smetterla di blaterare sul “tassate i ricchi” per passare invece all’“abbassiamo le tasse, ma facciamole pagare a tutti”? Più leggere per chi guadagna meno, più pesanti per chi guadagna di più, ovvio, ma pagarle tutti, che a certi finti poveri con tre case e cinque auto o certi indigenti disperati che fanno fattura una volta sì e venti volte no verrebbe una gran voglia di riservargli un esproprio proletario alla Stalin... Non sarebbe più giusto combattere per dare a tutti - anche ai figli della serva - la possibilità di studiare nelle migliori scuole, per piantarla con i concorsi truccati, con le assunzioni familistico-amorali, per mettere tutti quanti sulla stessa linea di partenza e poi che vinca il più veloce, senza dimenticarsi di chi arriva ultimo? Ma davvero si pensa di sanare le mostruose disuguaglianze prodotte dalla globalizzazione, lo sfruttamento delle vittime sacrificali di una società sbriciolata sventolando bandierine ideologiche vecchie e stravecchie, che tanto piacciono ai giornali proprio perché pure i giornali vivono in un mondo fuori dalla realtà? Ma davvero si risolvono le ingiustizie mandando tutti in pensione, inondando il paese di sussidi parassitari e continuando a fare debito, che tanto paga Pantalone?

I soldi servono, eccome, anche a chi non interessano: sono semplici strumenti per vivere. L’unico modo per migliorare la vita delle persone è fare in modo che ne guadagnino di più, grazie alla loro cultura, al loro impegno, alle loro competenze, non certo lanciare una ridicola caccia al ricco grazie a slogan furbastri da declamare a una cena di beneficenza dove, tra l’altro, si entra solo se si pagano trentamila dollari a testa. Perché i ricchi sono tutti uguali, ma qualche ricco è più uguale degli altri.

@DiegoMinonzio

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