Una Como da ripensare
Chi raccoglie la sfida?

In “Cosa succede in città”, Vasco Rossi dice che non accade nulla. Come a Como, a parte il ritorno delle masse in centro a cui è bastato il “profumo” di zona gialla per dimenticare parecchie cautele. Sperem. Intanto però, attorno c’è una città che ha bisogno di essere ripensata per sperare in un futuro. Sembra di essere tornati agli anni ’80 pre boom turistico e, consentiteci, pure prima della Città dei Balocchi che fino all’anno scorso dava un’ulteriore scossa elettrica al centro e non solo. Non fosse per i negozi, che sono molto di più di allora, o per i bar e ristoranti, idem con patate, saremmo qui ancora con il dibattito di quell’epoca sul rischio di diventare la città dormitorio di Milano, non fosse che anche la Metropoli, con il Covid, è costretta a qualche pennica.

Ma per restare alle nostre faccende, il perpetuarsi dell’emergenza per la pandemia sta influendo in maniera rilevante sulle principali attività economiche del territorio: l’industria tessile e il turismo. Come se ne uscirà è presto per dirlo e lo scopriremo solo vivendo. È certo che difficilmente sarà come prima. Se le conseguenze sugli aspetti produttivi e occupazionali sono in prevalenza questioni da affrontare nell’ambito economico e sindacale, le ricadute sulla società e sulla città riguardano anche la politica e l’amministrazione comunale.

Certo, la pandemia ha sorpreso la truppa condotta, non si capisce con quale piglio, dal sindaco Mario Landriscina a metà di un guado di legislatura alquanto limaccioso e carente di progettualità, anzi, con un’evidente difficoltà anche rispetto ai problemi ordinari. E allora c’è da preoccuparsi.

Perché finché si viaggia con il pilota automatico del flusso turistico costante e si sono accettate, se non incoraggiate, alcune trasformazioni del tessuto urbano e sociale, soprattutto nell’ambito della Città Murata, può anche andare bene. Ma ora si tratta di progettare, ripensare, innovare, e l’encefalogramma del palazzo appare, a prima vista, più che mai piatto.

Anche l’unico grande intervento immaginato, con tutte le perplessità che si portava appresso, quello del trasferimento del municipio per dare finalmente un destino all’area Ticosa, è stato accantonato a causa l’emergenza. E proprio l’ex tintostamperia, oltre al resto, rappresenta un enorme rimpianto. Si fosse, ai tempi, scelto di destinarla a centro direzionale per l’innovazione, una Como Next su scala più vasta, ora forse la storia di Como sarebbe diversa. Ma all’investimento per il futuro si preferirono la scelte, dissennate, della demolizione e della speculazione immediata e poi naufragata. Ma tant’è.

Ora però servono idee e cervelli da cui farle scaturire per evitare che Como finisca per incamminarsi se non su un binario morto, su una strada senza sbocchi futuri. Potrebbe essere questo il motivo centrale di una campagna elettorale per il Comune che è dietro l’angolo. L’attuale amministrazione passerà le consegne nella primavera-estate del 2022. Ed è fondamentale che le chiavi della città finiscano in mano a chi sa aprire le porte giuste senza doversi affidare ai grimaldelli. È una questione di idee e di persone che non si potranno sbagliare. Una sfida che coinvolge tutta la politica, a destra come a sinistra e nelle formazioni civiche, ma anche la società. Come ridare vita e prospettive a una città e una comunità che rischia di perdere i riferimenti tradizionali e consueti. Roba da far tremare i polsi, ma impegno da cui è impossibile sottrarsi. E che chiama all’armi tutti i migliori ingegni.

Bisogna cominciare a pensarci adesso, altrimenti si rischia di arrivare tardi, con le solite soluzioni dell’ultimo momento, con le scelte delle squadre fatte per esclusione e non per inclusione. Un po’ com’è accaduto anche nel recente passato e si sono visti i risultati. E ora di svoltare. Per il bene di Como che si deve avere a cuore non soltanto a parole.

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