Il processo mediatico a Brescia, la parola ai giornalisti: «Percepiti come disturbatori»

Strage di Erba Monteleone Iene: «Scuse a Pietro Castagna? Non l’ho danneggiato». Selvaggia Lucarelli: «Olindo e Rosa rifiutano le riprese? Tragicomico»

24:45

Un «can can mediatico»: così Domenico Chiaro, Avvocato Generale dello Stato ha definito il fervore che i media, (giornali, televisioni ma anche social), hanno dimostrato negli anni verso questo processo. Eppure, ieri, a Brescia, i giornalisti - erano un centinaio quelli accreditati - sono rimasti fuori dall'aula e ogni tentativo di osservare cosa capitasse lì dentro, in particolare i coniugi Romano che hanno chiesto di non essere ripresi, è stato fermato proprio di fronte alle porte dell’aula, dove il flusso di gente in entrata e in uscita, a seconda dei momenti dell’udienza, era attentamente gestito dai carabinieri. «Quasi tragicomico, anzi paradossale, anche perché mai come in questo caso abbiamo visto i media entrare così tanto nel processo» è il parere di Selvaggia Lucarelli de Il Fatto Quotidiano: «In questo gli avvocati dei coniugi sono sempre stati bravissimi: hanno tenuto alta l’attenzione da sempre, hanno continuato negli anni a creare dei supporters per la loro causa , lo hanno fatto anche recentemente con libri nuovi e servizi in tv». E il riferimento è a una recente pubblicazione di Mondadori intitolata “Rosy”: un libro scritto da Alessandra Carati, ex candidata al Premio Strega, dopo aver incontrato Rosa Bazzi.

Il processo mediatico secondo i media. Video di Toppi Martina e Paolo Moretti

L’attenzione mediatica fortissima - di «pressione mediatica» aveva parlato già prima dell’udienza a Brescia Luisa Lo Gatto, giudice che ha scritto la sentenza di primo grado sul caso di Erba, nella prima stagione del podcast di questo giornale Anime Nere, uscito più di un anno fa - si è mostrata con una tensione diffusa anche nella sala stampa dove in molti hanno dimostrato di riconoscersi come colpevolisti o innocentisti, durante lo svolgersi dell’udienza. Lo ha notato anche Massimo Pisa, cronista di Repubblica: «Ma noi dovremmo far parlare i fatti, non parlare noi. Poi a qualcuno piace interpretare il personaggio di sé stesso...». Sono tendenze che però alla reputazione della professione fanno molto male e finiscono per modificare in peggio la percezione che i lettori e i cittadini in generale hanno delle notizie e di chi le racconta. Come, d’altra parte, si è visto ieri: «Non c’è più rispetto per quello che facciamo - dice Monica Serra della Stampa - qui in tribunale veniamo percepiti come disturbatori, ma se non possiamo vedere e ascoltare quello che accade, non possiamo poi essere testimoni e raccontare i fatti».

Ascolta "La strage di Erba - Una macchina e una giudice" su Spreaker.

Un esempio lampante di quanto i media e quello che negli ultimi diciassette anni hanno prodotto siano entrati a far parte del processo sulla strage di Erba è rappresentato dalla campagna innocentista portata avanti dalle Iene. Antonino Monteleone, volto riferimento del programma di Mediaset per quanto riguarda questo caso, era presente ieri: «Finché l’Italia non diventerà la Repubblica Islamica dell’Iran o la Corea del Nord, ci batteremo per avere la possibilità di dubitare e contestare». Dubbi questi che hanno avuto un impatto fortissimo sulla famiglia di tre delle vittime di questa strage: «Io sono dalla parte dei Castagna - si difende però Monteleone, invitato a rivolgere delle scuse alla famiglia che più di tutte è stata messa al centro dei riflettori dalle Iene, con suggestioni sottese a ipotizzare un coinvolgimento nella strage proprio di Pietro Castagna- Lo ho danneggiato? Una fesseria. Ma non posso commentare una questione che al momento è oggetto di accertamento penale e di cui sono protagonista». A seguito di una denuncia da parte di Pietro Castagna, infatti, si esprimerà sulla questione che vede coinvolto Monteleone il tribunale di Monza.

Ma sempre all’interno di Mediaset c’è anche chi opta per una metodologia di lavoro diversa, come nel caso di Martina Maltagliati di Quarto Grado: «Chinarmi sugli atti e leggerli integralmente, per poi raccontare senza filtri se non quelli critici o metodologici, cercando sempre la verità: è questo il modo in cui ho sempre lavorato».

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