Ciani: «Cantù favorita. Ma se ci lasci spazio, Torino sa farti male»

Intervista La Coppa Italia ha un valore, anche a livello di immagine, ma ora i punti sono importanti in prospettiva

Chiamarla sorpresa è forse un po’ esagerato dopo aver perso una finale promozione contro Pistoia. E Torino è ancora lì, in alto, a dire la sua. Quest’anno ci riprova, senza un obiettivo preciso, «ma per andare più lontano possibile» come dice coach Franco Ciani. Un allenatore esperto - 62 anni - che, proprio da Cantù, ha mosso i primi passi come capoallenatore, ormai quasi 25 anni fa. Ed è con lui che ci avviciniamo all’importante sfida di domenica tra la Reale Mutua Torino e Cantù.

Buongiorno coach. Come sta Torino?

Un po’ meglio rispetto a Vigevano, perché stiamo recuperando acciaccati, influenzati e lungodegenti. Chiaramente, quando un giocatore sta fuori due mesi e mezzo, non esiste bacchetta magica per farlo rientrare al 100%. Ma già il fatto di poterci guardare tutti in faccia in allenamento è una bella sensazione che non provavamo da un bel po’ di tempo e che ci conforta.

Quindi sarà una Torino al completo?

Direi di sì, ma bisogna vedere quanto si riuscirà a immagazzinare di positivo da questi allenamenti al completo.

Anche il suo collega Cagnardi spesso parla di questo fattore, ossia della “disomogeneità atletica” della squadra, anche quando raramente è stata al completo…

Onestamente, con grande pragmatismo, credo che le assenze e i lunghi periodi con assetti rimaneggiati non facciano bene a nessuno. Laddove le assenze sono una o due, e non sei, e l’organico organico è costruito con lunghezza e una consistenza di un certo tipo, si può sopperire. Nessuno però può dire che le assenze importanti non incidano. Se a Cantù mancano Burns o Bucarelli, per esempio, è un problema anche per il mio collega Cagnardi, specialmente in un campionato equilibrato come questo. Ricostruire gli equilibri tattici non è uno scherzo: noi stessi, dopo mesi con un solo centro, ne stiamo reinserendo un altro.

A Torino cosa o chi è mancato?

Per esempio, nella sconfitta a Vigevano, Vencato e Cusin. E certamente non ho potuto chiedere troppo ai tre con 38 mezzo di febbre, imbottiti di tachipirina.

Intanto Torino è imbattuta in casa, ha gli stessi punti di Cantù ed è lì a giocarsi la seconda poltrona...

Noi non ci siamo mai posti imperativi assoluti, così come non ci siamo mai preclusi qualcosa.

Che fa, si nasconde?

No, perché era oggettivamente difficile ipotizzare noi a giocarci il secondo posto: questa posizione racconta di una stagione fin qui eccellente.

Quanto ci credete in questo secondo posto?

Tanto, perché se possiamo competere per accedere alle Final Four di Coppa Italia, significa che abbiamo fatto qualcosa di importante.

E per quanto riguarda il campionato?

La Coppa Italia ha un valore, anche a livello di immagine, ma ora i punti sono importanti in prospettiva. L’obiettivo è immagazzinare più punti possibile, in vista di una fase a orologio lunga e che inciderà, perché varrà per un terzo di stagione. Ed è questo l’aspetto alla fine più importante: arrivare più in alto possibile, per trarre qualche vantaggio dalla classifica finale in ottica playoff.

Una grande città come Torino e un piccolo centro come Cantù hanno vissuto l’amarezza dell’averci provato e di non esserci riusciti. Come ha reagito l’ambiente a Torino dopo la finale playoff persa la scorsa stagione?

L’ambiente-squadra e il tifo fidelizzato non hanno vissuto la sconfitta con particolare scoramento: chi capisce e conosce la nostra realtà, non può essere deluso. Ovviamente il tifoso sogna sempre di prendere LeBron James per vincere i playoff, ma la realtà non è questa. La vera sfida, per quest’anno, è essere sulla linea dell’anno scorso come atteggiamento e tipologia di gioco.

Come vive invece Torino la serie A2 e il basket in generale?

È una città che ha delle “aggravanti”, si fa per dire. Oltre a Torino e Juventus nel calcio, negli ultimi anni sta vivendo di grandi eventi, dal tennis alla pallavolo. È un pubblico che si fa attrarre dal grande evento e che sa muove i numeri importanti. Tipo le finali playoff dello scorso anno, con il palazzetto gremito. Aver innalzato la soglia dei tifosi fidelizzati è comunque già un ottimo risultato.

Ricordi di Cantù?

Sono passati tanti anni, qualcuno forse nemmeno ricorda che io sia passato da Cantù… Non mi sottraggo però, ci sono ricordi belli e altri meno.

Un anno la salvezza, un anno l’esonero…

La prima, pur nelle disgrazie capitate, è stata positiva grazie alla salvezza. L’anno dopo, al mio secondo anno da capoallenatore, fu complicato: ci furono gli infortuni di Young e Stephens, la fuga di Anchisi e altro. Avessi avuto un’esperienza maggiore, forse avrei gestito tutto meglio. Ma non ho animosità nei confronti di Cantù.

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