Omar, l’aggressore armato di bottiglia, e la sua vita difficile: le fughe, la droga, le botte

Arrestato I primi guai risalgono al 2014, quando picchiò genitori e carabinieri. Ecco chi è l’uomo fermato ieri sul quale si concentra l’attenzione della polizia

Il nome di Omar Querenzi fa per la prima volta capolino su un verbale d’arresto della Procura nel maggio del 2014, quando gli anni sono 25 e il peggio è ancora parecchio di là da venire. È la sera del 16 e il ragazzo rientra nella sua casa di Albiolo al volante della macchina dei genitori mezza fracassata. Quando mamma e papà tentano di strappargli le chiavi di mano perché al danno non si aggiunga altro danno, lui spedisce entrambi all’ospedale, riservando poco più tardi identico trattamento anche ai carabinieri arrivati a dar manforte.

Quella prima denuncia per lesioni, resistenza e maltrattamenti è l’incipit di una parabola tragicamente uguale a quella di tanti altri ragazzi vittime come lui di tante cose, di sé stessi in primis ma anche di troppi abusi e di un destino maledetto. Da allora, dal giorno di quel primo inciampo, la vita va a rotoli, ché certe dipendenze non fanno che rendere tutto più difficile.

Le sparizioni

Dalle sue parti ancora ricordano qualche impresa, certe sparizioni di quelle da tenere tutti con il fiato sospeso per giorni - salvo poi scoprire che a Omar piaceva dormire all’addiaccio aggirandosi come un fantasma tra i boschi a cavallo tra le province di Como e di Varese -, e altre minacce, e altri tentativi di violenza, altre “mattane”, che quantomeno - e per fortuna - non oltrepasseranno più i limiti del codice penale. Poi finalmente un percorso di cura, e un lungo silenzio. A Olgiate di lui i carabinieri non sapranno più nulla per un pezzo, fino quasi a perderne memoria. Finché, qualche mese fa, una nuova segnalazione marca uno sgraditissimo ritorno sulla scena, con le stesse imprese, gli stessi contrasti, lo stesso dolore di chi - i suoi familiari - capisce che di nuovo servirebbe aiuto, e che di nuovo quello di chi gli vuole bene non basta.

Non sono chiare le ragioni che l’altroieri lo hanno spinto a rivolgersi al Sant’Anna, un posto in cui - specie negli ultimi mesi - qualche episodio violento, per fortuna senza conseguenze, si era già registrato: Omar dà di matto ma non sono in molti a farci caso. Ad allontanarlo sono gli addetti alla vigilanza con l'aiuto della polizia, e lo fanno due volte, la prima l’altroieri, la seconda ieri, quando lui alza i tacchi e se ne va subito dopo essersi scagliato contro un bimbo che passeggia con papà fuori dall’ospedale, colpito e ferito a una mano con l’ennesimo coccio di vetro di questa storia ingarbugliata. Altri due, e chissà che uno non sia lo stesso, compariranno poche ore più tardi in via Giussani.

L’auto accanto alle scuole

Il primo coccio sarà quello impugnato per colpire al collo sul far del mezzogiorno quel giovanotto incontrato alla fermata del bus, il secondo sarà ritrovato nella mano sinistra di quell’anziano signore esanime nella sua utilitaria grigia, la testa reclinata sul fianco destro, la carotide recisa, il sangue rappreso sulla camicia. L’auto era posteggiata a dieci passi dall’aiuola di via Giussani in cui al mattino la polizia aveva bloccato Omar, subito dopo l’aggressione alla fermata. È la logica a suggerire che un filo leghi i due episodi, la logica - in attesa che vi si aggiunga anche qualche indizio, se non una prova - a suggerire che tra il primo e il secondo, il pugno sferrato all’ombra della pensilina e quel povero morto ammazzato, ci sia una connessione molto stretta.

Oggi si saprà qualcosa di più. E chissà che già entro sera il caso possa considerarsi risolto.

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