Scuola e disabilità: «Mio figlio, abbandonato in quell’aula»

La testimonianza Bisogni educativi e inadempienze del sistema scolastico: una storia per spiegare perché occorre trovare risposte ai sempre maggiori bisogni educativi speciali

Quello che state per leggere è avvenuto in una scuola di Como a cavallo con gli anni del Covid. Il protagonista – anzi, per usare la parola giusta, la vittima – è un ragazzo con problemi di spettro autistico che in quei mesi iniziava la prima media. A raccontarci la sua storia è la mamma e, anticipiamo, le sue parole – a proposito di inclusione – metteranno i brividi. «Come è andata per me l’inclusione? È stata disastrosa – dice subito la madre, che nonostante tutto racconta la sua vicenda con una calma invidiabile scegliendo di mantenere l’anonimato – Quando passammo dalle elementari alle medie ci fu affidata una insegnante di sostegno che era alla sua prima esperienza, ignara completamente non solo di autismo ma anche di disabilità. Aveva paura di mio figlio, gli camminava lontano, si teneva costantemente a distanza. Mio figlio però era affidato solo ed esclusivamente a lei, al sostegno, mentre le altre insegnanti non ne volevano proprio sapere di averlo in classe». E già, fermandoci qui, un sentimento di rabbia si percepisce nitido salire dallo stomaco.

«Mio figlio non poteva entrare a scuola senza l’insegnante di sostegno – prosegue la mamma – Era abituato alle elementari che, sentendo il suono della campanella, poteva accedere all’istituto. Questo non era più possibile. Dovevo aspettare fuori dalla scuola con lui, mentre tutti entravano e noi no, attese che potevano durare anche un quarto d’ora. Del resto ci era stato detto apertamente che da solo, senza sostegno, non poteva entrare». Ma anche una volta all’interno, le cose non cambiavano poi di molto.

«Stava in un’aula da solo. Lo mettevano davanti ad un pc con i cartoni animati che gli piacevano, e pure con le cuffie per non disturbare gli altri. Non faceva ricreazione con i compagni, non andava in palestra con loro, era sempre chiuso in quell’aula e quando lo andavo a prendere lo trovavo sempre li». Con questa mamma, non si può nemmeno provare a pronunciare la parola inclusione: «Non c’è proprio stata – dice ancora – Se non c’era l’insegnante di sostegno mi dicevano di tenere mio figlio a casa. Ci furono anche episodi di crisi, perché non sapevano gestirlo. Mi chiamavano e dovevo andare a prenderlo. Poi per nostra fortuna è arrivato il Covid e siamo rimasti tutti a casa».

Parole dure, ma in fondo comprensibili. Eppure nemmeno con la Dad le cose migliorarono: «Ci hanno abbandonato pure lì, non ci davano compiti, mai una videochiamata, mai una telefonata. Le uniche che mi chiesero come stava mio figlio furono le insegnanti dell’altra classe in cui c’era il mio secondo figlio. Insomma, è stata una catastrofe. Consideravano mio figlio un elemento di disturbo». Per la cronaca, con un altro insegnante di sostegno, il ragazzo in questione ha poi proseguito gli studi, ottenendo ottimi risultati e pure i complimenti al termine del percorso alle medie ed ora frequenta le superiori. Una storia – lo ribadiamo – avvenuta a Como nell’anno 2020. Questo per far capire quanta strada ci sia ancora da percorrere lungo la via dell’inclusione ma anche della formazione.

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