In piazza l’auto della strage di Capaci: «Quel giorno non ci hanno fermato»

Lotta alla mafia Convegno del Sap al Sociale, il vescovo Cantoni ha ricordato don Pino Puglisi. Presente anche la vedova di Antonio Montinaro, agente della scorta del giudice Falcone

La “Quarto Savona 15” era uscita per andare all’aeroporto a prendere il giudice Giovanni Falcone. Rientrando verso Palermo, all’altezza di Capaci, fu lanciata in aria da 300 chili di tritolo.

Una strage, era il 1992, che entrò nelle case di tutti gli italiani sconvolgendone l’esistenza, al pari di quanto accadde pochi giorni dopo con il giudice Paolo Borsellino in via D’Amelio. A bordo di quella Croma blindata, c’erano tre agenti della scorta di Falcone, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.

Ripartire dalla legalità

Ieri quell’auto simbolo delle stragi di mafia era tra il Duomo e il Teatro Sociale, in occasione del convegno del Sap (Sindacato autonomo di polizia) di Como fortemente voluto dal segretario provinciale Igor Erba dal titolo “Risposta delle istituzioni alle stragi mafiose: la società riparte dalla legalità”. E uno dei gesti simbolici di una giornata resa preziosa dall’elevato numero di studenti presenti, è stato proprio lo svelare la teca che contiene la “Quarto Savona 15” fatto dalla vedova di Montinaro, la signora Tina. «Per noi questa Fiat Croma c’è ancora, continua a fare chilometri – ha detto in un momento di forte commozione, con l’auto martoriata dall’esplosione alle sue spalle – La “Quarto Savona 15” dimostra a tutti che quel giorno non ci hanno fermati».

Il convegno si è poi spostato all’interno del Teatro Sociale, con una folta schiera di politici e autorità cittadine. Presente il cardinale Oscar Cantoni, che rivolgendosi ai molti studenti ha ricordato la figura di don Pino Puglisi, sacerdote antimafia ucciso da Cosa Nostra, citando una sua frase: «Se ognuno di noi fa qualcosa, allora si può fare molto».

Sul palco, oltre al segretario del Sap, in un incontro moderato dal direttore di Etv Andrea Bambace, c’erano il prefetto Renato Cortese, il procuratore aggiunto della Dda di Milano Alessandra Dolci e il generale dell’Arma dei carabinieri Sandro Sandulli, che hanno raccontato le loro storie di quotidiana lotta alla mafia.

In platea il sindaco di Como Alessandro Rapinese e altri sindaci del territorio, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e l’assessore Alessandro Fermi, il prefetto di Como Andrea Polichetti, i vertici delle forze dell’ordine a partire dal Questore Marco Calì alla sua prima uscita ufficiale («Sarebbe bello un giorno poter iniziare un racconto dicendo, c’erano una volta le mafie...», ha detto) e poi esponenti del governo, il ministro delle Disabilità Alessandra Locatelli e il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni che hanno voluto ringraziare tutti gli uomini e le donne che indossano una divisa.

Gli arresti eccellenti

Poi si è entrati nel vivo dei racconti, dal ricordo delle stragi a come si arrivò ad arrestare Giovanni Brusca e Bernardo Provenzano: «Era latitante da 43 anni, non l’avevo mai visto ma quando me lo trovai davanti era come se lo conoscessi da sempre». Poi il monito ai ragazzi presenti: «La mafia non è solo coppola e lupara, ma anche giacca e cravatta».

Il discorso è passato alla dottoressa Dolci e al generale Sandulli con le loro esperienze di lotta alla mafia, con anche la clamorosa operazione che aveva riguardato il Comasco denominata Infinito: «Trecento ordinanze tra la Lombardia e Reggio Calabria», è stato ricordato. «Fenomeni di estorsione e usura ci sono anche nel nord – ha concluso Sandulli – Non diffusi come al sud, ma presenti in maniera più subdola e per questo più difficili da contrastare».

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