Minacce al Made
Le mire dei clan
sulla città di Como

Inquietante retroscena negli atti d’accusa contro gli esponenti della ’ndrangheta. Un indagato avrebbe chiesto soldi per conto dei Trovato

«Sono arrabbiati con te. Perché dicono che avete fatto il “pizzo” a quelli del Made a nome di Mario. Capito? Ora a Lecco sono inc... con te». Guai toccare gli equilibri territoriali della ’ndrangheta. Perché nei clan hanno la memoria lunga. E «sai come si dice dalle mie parti? Che se l’asino non fa la coda nei primi tre anni, vuol dire che la coda non la fa più».

Nelle pieghe dell’inchiesta della Procura antimafia di Milano sulle strategie della malavita per controllare la sicurezza dei locali da ballo comaschi, emerge un retroscena che porta gli interessi della ’ndrangheta fin dentro la città di Como. E, più precisamente, nei confronti dell’allora Made di via Sant’Abbondio.

Il “pizzo”

A rivelare un retroscena inedito, dal quale emergerebbe anche come la security del locale fosse data in appalto a una società “autorizzata” dai clan a lavorare in città, le conversazioni intercettate dai carabinieri del nucleo operativo di Cantù e di Monza intercorse tra il “buttafuori” dello Spazio Renoir di Cantù, Daniele Scolari, e Luca Vacca, finito in cella nel blitz di giovedì mattina con l'accusa di essere una figura emergente nel panorama ’ndranghetista del nostro territorio. Dalle conversazioni captate dagli investigatori, si scopre che proprio Vacca, tra il 2012 e il 2013, si sarebbe presentato agli addetti della sicurezza del Made di Como per chiedere il pizzo a nome dello «zio Mario di Lecco», ovvero Mario Trovato, fratello del boss Franco Coco Trovato. E lo avrebbe fatto all’insaputa della famiglia del Lecchese che, di conseguenza, se la sarebbe legata al dito ripromettendosi di farci «un paio di guanti con lui», ovvero con Luca Vacca.

Siamo nell’autunno 2017. Daniele Scolari mira a spodestare il responsabile della security del Made di Erba e, per farlo, vuole il benestare da chi ha il controllo di quel territorio (stando all’interpretazione delle conversazione fatta dagli uomini dell’antimafia e dal giudice che ha fatto scattare gli arresti). Ma nel farlo dice anche di essere in affari con Luca Vacca. Circostanza che non piace molto agli interlocutori, memori di un episodio avvenuto cinque anni prima, quello al Made, appunto.

«Ce l’hanno con te - racconterà Scolari, mentre parla al telefono con l’amico su una linea intestata alla sua palestra di Mariano Comense - per la storia di Antonio (l’uomo che, assieme a Vacca, avrebbe minacciato uomini vicini alla discoteca comasca pretendendo «la mia parte» ndr)... hanno detto che tu e Antonio avete fatto un po’ di cazzate e andate in giro a nome di quella “gente di lì”... che siete andati al Made a minacciare la sicurezza, cinque anni fa».

L’emergente

Per comprendere chi sia Luca Vacca, è necessario - come hanno fatto i detective del nucleo operativo di Cantù - scavare nel passato del trentasettenne di Mariano Comense. Da quel passato emerge - accusano i magistrati dell’antimafia - un rapporto con il boss della ’ndrangheta Antonio Galati, detto “u’nanu”, 68 anni di Cabiate. Un aggancio importante, considerato il ruolo che lo stesso Galati ricopre (sempre a detta degli inquirenti) all’interno della malavita calabrese.

Tra Vacca e il boss il rapporto sarebbe tra l’altro molto stretto, come sottolinea nell’ordinanza di custodia lo stesso magistrato: «Vacca, nelle conversazioni intercettate, ha sempre dimostrato, nei confronti dell’anziano criimnale, una sorta di deferenza chiamandolo “Zi Ntoni”, appellativo riservato alle persone con cui si è in confidenza, ma con le quali ci si relaziona in posizione di subalternità». Secondo la Dda il presunto astro emergente dei clan sarebbe stato a lungo uomo di fiducia a disposizione dello stesso Galati.

Ecco, è proprio un personaggio di questo spessore ad essersi presentato con un condannato per associazione mafiosa in via Sant’Abbondio a Como per reclamare la propria parte spacciandosi per emissario della famiglia Trovato.

Dalle intercettazioni che hanno spalancato le porte del carcere a sedici persone (più altre quattro finite ai domiciliari) emergerebbe un ulteriore retroscena legato alla gestione della sicurezza della sala da ballo comasca, sette o otto anni or sono. E cioè che la società che gestiva la security all’epoca, era non solo legata alla stessa persona estromessa da Scolari dal lavoro al Modà di Erba nell’autunno 2017 (dopo il benestare di chi aveva il controllo della zona dell’Erbese), ma che per potersi occupare dei buttafuori a Como lo stesso era stato “autorizzato”, da chi non è dato saperlo.

È quanto emerge dalla conversazione telefonica tra Daniele Scolari e alcuni buttafuori contattati per prendere servizio al Modà: «Ale ha sbagliato, perché nella zona di qua prima di muoversi deve chiedere se può andare a lavroare... Ale della Brianza ha in mano solo il Made, e adesso è anche chiuso... A Erba non lo vuole nessuno a lavorare, né le famiglie di Lecco, quelle che lui dice di essere amico, né nessun altro...».

Una spartizione in grande stile, insomma, che avrebbe toccato anche la città di Como. E dopotutto il giudice lo mette nero su bianco: «I servizi di sicurezza svolti a favore dei locali di pubblico intrattenimento sono gestiti, controllati e divisi da appartenenti alla criminalità organizzato di stampo ’ndranghetista».

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