«Truffa sui soldi del fallimento». Condannato l’avvocato Ferrara

La sentenza La Cassazione conferma la ricostruzione della Procura: il legale colpevole. Ma cade l’accusa di peculato

La Corte di Cassazione conferma: l’avvocato Giancarlo Ferrara è colpevole dei fatti contestati dalla Procura di Como. Ma sull’entità della pena, i giudici d’Appello dovranno rideterminare la condanna perché il reato di peculato è stato cambiato in quello di truffa aggravata.

I giudici romani mettono, sostanzialmente, la parola fine sulla vicenda giudiziaria che ha coinvolto in qualità di imputato il noto legale comasco. Con processo - e anche per lui condanna confermata - anche il costruttore Giovanni Dell’Oca, cliente di Ferrara. I due sono stati condannati definitivamente per il reato di simulazione fraudolenta di crediti nella bancarotta, mentre per entrambi la condanna di peculato - scrivono i giudici di Cassazione - va modificata in truffa e quindi anche la pena sarà rivista, verosimilmente al ribasso, visto che i due reati sono sanzionati diversamente.

In buona sostanza i giudice della Cassazione hanno confermato, nei fatti, quanto aveva sostenuto il giudice che aveva emesso la condanna di primo grado, e cioè che la prestazione professionale dell’avvocato Ferrara nell’ambito dell’assistenza di due clienti per un fallimento, è stata «frutto di frode e non certo di esercizio del diritto di difesa».

L’accusa

Si tratta di un’inchiesta che affonda le sue radici a sei anni fa legata a questioni tecniche, ancorché sostanziali. Tutto nasce dal fallimento milionario della Al.Gi. Project di proprietà dei fratelli erbesi Alessandro e Gian Luca Pina. L’avvocato Ferrara, nell’ambito di quella procedura, aveva presentato insinuazione al passivo per conto di due suoi clienti, tra i quali anche il coimputato Dell’Oca. I clienti del legale comasco reclamavano, legittimamente, un credito di quasi 800mila euro nell’ambito di quel fallimento.

La Procura di Como - il pubblico ministero titolare del fascicolo era Mariano Fadda - scoprì però che quei soldi in realtà erano già stati restituiti attraverso il pignoramento di un immobile in Svizzera. Nonostante questo l’avvocato ha rinunciato all’insinuazione al passivo del fallimento, garantendo per iscritto che «nulla è stato riscosso dalla società fallita né prima né dopo il fallimento né tantomeno in Svizzera». Un’affermazione “letteralmente” vera, visto che i soldi sarebbero arrivati direttamente da uno degli amministratori e non direttamente dalla società.

Ciò che mise in allarme il curatore fallimentare prima e il giudice delegato poi è il fatto che lo stesso avvocato Ferrara avesse insistito con il fallimento perché gli assegni di liquidazione passassero da lui, piuttosto che finire direttamente ai clienti. Assegni che, prima di essere ammessi all’incasso, sono stati sequestrati dalla Procura di Como.

La sentenza

La Cassazione, nella sua sentenza, ha confermato la ricostruzione fatta dalla Procura - sfociata in due condanne in primo grado a 5 anni e 8 mesi per Ferrara e 4 anni a Dell’Oca, in secondo grado a 2 anni e 8 mesi per l’avvocato e due anni per il cliente - ma nella vicenda relativa ai soldi chiesti due volte ha ravvisato una truffa aggravata e non un peculato. Da qui il ricalcolo della pena che, come detto, sarà quasi sicuramente rivista al ribasso.

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