Tra gli invisibili della notte

L’iniziativa Un’esperienza di una giornata per accendere i riflettori sulle nuove povertà

Un’esperienza di una giornata per mostrare alla cittadinanza ciò che, concretamente, avviene 365 giorni all’anno. Sabato e domenica compresi, feste di precetto pure: la missione dei volontari che assistono, con un piatto caldo o una coperta soffice, quanti non hanno una casa davvero non conosce interruzioni.

L’iniziativa

La Notte dei senza dimora quest’anno ha tagliato il traguardo delle ventitré edizioni. Si avvia, insomma, al quarto di secolo l’iniziativa – pensata a livello nazionale e declinata, poi, operativamente nei singoli territori – che sabato scorso ha avuto luogo anche a Como. «Un momento per sensibilizzare le persone in merito alle tematiche che ruotano attorno alle povertà: sono tante, sono sfaccettate e sono, purtroppo, in grande aumento».

Parola di Chiara Rusconi, presidente di “Incroci”, l’associazione che a Como gestisce la mensa serale a Casa Nazareth. «Spesso, purtroppo, non ce ne accorgiamo, ma anche in città la solitudine e l’emarginazione dilagano. Come volontari sappiamo bene che non potremo mai risolvere i problemi del mondo, né tantomeno cambiare il cuore e le menti di tutti, però ci impegniamo a dare il nostro contributo, a portare quella piccola goccia nell’oceano che, alla lunga, potrebbe fare la differenza». Consapevoli che «da soli si va veloci, ma insieme si va più lontano», come recita un noto aforisma, “Intrecci” fa parte di “Vicini di strada”, la rete di servizi che oggi comprende 18 organizzazioni di volontariato nate a favore di quanti vivono in condizione di grave marginalità. La Notte dei senza dimora ha messo in luce, ancora una volta, l’importanza della collaborazione nell’assistenza e nel sostegno. «Siamo tanti, tutti uniti dallo stesso obiettivo. E non si tratta solamente di garantire assistenza materiale: accanto ai bisogni essenziali (quali possono essere la cena al coperto, il vestito nuovo o le visite mediche), ciò che conta è offrire attenzione alla persona, al singolo».

Un senso di impotenza

Ed è questo, in fondo, «che a noi volontari restituisce più emozioni», aggiunge Rusconi. «A volte ci si sente impotenti, lo ammetto: sappiamo di non poter arrivare dappertutto, può capitare di non farcela sempre. Eppure, quando vedi una persona che ti ringrazia per il bene ricevuto, capisci di aver fatto la cosa giusta».

A Casa Nazareth – dove sabato scorso, al termine dell’iniziativa, si è tenuta una cena conviviale estesa alla cittadinanza intera – i volontari di “Intrecci” offrono quotidianamente ai senza fissa dimora veramente tanti pasti caldi. «Un numero preciso non c’è: oscilliamo tra gli 80 e i 150 coperti al giorno. Accanto ai nostri “clienti affezionati” (come la presidente definisce affettuosamente gli ospiti storici, ndr), abbiamo molte altre persone che vediamo solo per un periodo perché di passaggio», perlopiù migranti in cerca di una sistemazione nell’Europa centrale. «Con il pasto caldo cerchiamo di offrire a tutti il nostro sorriso, affinché ogni ospite si possa sentire accolto».

Ed è proprio questa – assieme alla gratuità – la cifra distintiva del volontario, come ci spiega il vicepresidente della Caritas diocesana, il diacono Beppe Menafra. «Per chi fa volontariato è quasi una questione di giustizia, un voler ricambiare quelle fortune, assolutamente non meritate, che abbiamo in più rispetto a quanti vivono in povertà. Con una consapevolezza: il trovarsi in strada non è per forza una colpa».

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