La montagna futura, due nevi e due turismi

A cento anni dalle prime Olimpiadi invernali e 160 dall’invenzione della “settimana bianca”, il cambiamento climatico spinge a ripensare lo sci. Ormai la neve fresca si trova solo fuori dalle piste

L’invenzione del turismo invernale viene dalla Svizzera. Precisamente dall’Engadina. Alla fine del 1864 l’albergatore Johannes Badrutt lancia la provocazione dell’inverno a un gruppetto di turisti inglesi, che accettano di soggiornare a Sankt-Moritz nei giorni più freddi dietro garanzia di rimborso in caso di maltempo. I britannici si trovano benissimo e promettono di tornare, decantando la bellezza della neve. La moda del fuori stagione prende piede, perché non c’è niente di più provocante del contrasto tra il riverbero del sole e il gelo delle notti di luna.

Lo sci non è ancora arrivato, ma è scritto: sarà una rivoluzione. Il magico aggeggio inventato e sperimentato in Scandinavia promette un gioco modernissimo, quasi diabolico, dei gesti meravigliosi, quasi una danza, e un mondo di neve che sembra zucchero filato. A breve lo sci trasformerà la montagna e ne rovescerà il tempo, da ordinario a straordinario. Quella che è sempre stata la cattiva stagione sta per diventare la più attesa.

Il primo Ski Club

La nuova disciplina è ufficializzata con la fondazione dello Ski club di Monaco di Baviera e dell’Erste Wiener Ski club di Vienna, tra il 1890 e il 1891. Monaco e Vienna sono le prime città delle Alpi ad accogliere e promuovere lo sci nordico, testandolo sulle nevi di casa. Neve fresca, naturalmente. Si diffondono sperimentazioni miste di fondo e salto, con brevi discese. Ogni variante serve a imparare il nuovo gioco, e tutte si pagano con il sudore. Alla vigilia del secolo arriva in Italia il pioniere svizzero Adolfo Kind e si comincia a scivolare sulla collina torinese, poi in Val Sangone e in Valle di Susa; nasce lo Ski club di Torino.

Sport inizialmente stravagante ed elitario, lo sci si diffonde a cavallo della guerra e decolla nel Ventennio, con i treni della neve spinti dalla propaganda fascista e la fondazione, negli anni Trenta, delle prime città della neve: Sestriere e Cervinia. Si diffondono gli impianti di risalita meccanica e il pendio diventa uno strumento di piacere.

Fenomeno di massa

Nel secondo dopoguerra lo sci è presto un’attività di massa: tra i Sessanta e Settanta del Novecento non c’è un solo sportivo, nei paesi alpini, che non sogni un paio di sci, un impianto di risalita e, magari..., la seconda casa in montagna. Lo sci porta la panacea di ogni male, è la fonte dell’eterno benessere e della prosperità per valligiani e gente di città. È così di moda che si pratica anche d’estate sui ghiacciai; fa bene a qualunque età, dai bambini ai nonni. Ci provano i divi del cinema e le belle donne che campeggiano sui manifesti pubblicitari; la neve firmata è festa per tutti; chi non la prova si sente fuori epoca.

Lo sci è anche una passione agonistica fin dal tempo dei pionieri. Nel 1907 si disputano le prime gare internazionali al Colle del Monginevro, con buone prestazioni degli sciatori italiani; l’ingegnere Adolfo Hess esprime un ringraziamento che è quasi una premonizione: «Se tanto graditi ed indimenticabili ricordi abbiamo riportato dal Congresso del Monginevro, non dobbiamo dimenticare che in questa contingenza tutta la nostra gratitudine va in modo speciale rivolta ad Adolfo Kind, colui che primo in Italia introdusse ed usò gli ski, di cui predicò l’esercizio e previde la diffusione, coll’esempio e colla fede di un apostolo».

È l’ultimo saluto, perché il povero Kind scompare ad agosto in un crepaccio del Bernina. Però siamo solo agli inizi e ancora si confondono le discipline della neve. Tutto cambia nel 1924 con la famosa Settimana internazionale degli sport invernali di Chamonix, che di fatto è la prima edizione dei giochi olimpici. Nell’occasione nasce la Federazione Internazionale Sci (Fis), che inizialmente si occupa solo di sci nordico, salto con gli sci e combinata nordica. L’introduzione dello sci alpino è proposta nel 1928 e approvata nel 1930. L’anno seguente la Fis istituisce i Campionati mondiali di sci di discesa e regolamenta la disputa di due discipline: la discesa libera e lo slalom.

Dopo la crescita esponenziale

Il resto è storia nota, con una crescita quasi esponenziale delle pratiche agonistiche e amatoriali negli ultimi decenni del Novecento, fino alla stasi di fine millennio e ai segnali di crisi del nuovo secolo. Si fa sentire la concorrenza delle vacanze esotiche a basso costo, si diversificano i gusti e compaiono nuove discipline come lo snowboard e il freeride. Lo sport della neve fa ancora tendenza, ma in modo più sfumato di una volta. Nascono gli sci corti e sciancrati, si diffondono gli impianti ad ammorsamento automatico, spariscono le code. Smussati gli angoli e i dossi, le piste diventano delle autostrade; mentre si dà l’addio agli skilift che fungevano da prima selezione per i meno esperti, anche lo sportivo alle prime armi spazia insaziabile da una pista all’altra, governando gli attrezzi con semplici movimenti delle anche.

Tutto sembra possibile, tutto facile, ma la neve va programmata per garantire lo spessore del manto ed entrano in scena i cannoni. Le grandi stazioni si attrezzano allargando l’offerta, le piccole soffrono o spariscono, penalizzate da inverni sempre più caldi e poveri di neve.

Gli esperti prevedono che si scierà solo sopra i 1800 metri, forse 2000. Ai giovani piace ancora sciare, ma in molti non possono più permetterselo. Ai meno giovani piace la neve ma quella delle piste non lo è più, è altro, mentre la neve fresca - quando c’è - si trova fuori dai tracciati. Le due nevi sono destinate a coesistere, conciliando due pensieri e due turismi nel futuro.

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